Monti aspetta il Quirinale «Sereno, ho fatto il mio dovere»

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ROMA — Tre telefonate con Napolitano. Per discutere le valutazioni del capo dello Stato, rimettersi alle sue decisioni e in fondo ribadire che lui è capo del governo perché scelto dal Colle e nell’ora dell’epilogo, se tale sarà , come sembra, seguirà  le indicazioni che il presidente della Repubblica riterrà  più opportune.
Basterebbe questo dettaglio per descrivere l’atteggiamento di Monti. Che sia deluso, irritato, scoraggiato, è vero e se ne trova conferma a Palazzo Chigi. Ma ognuno dei sentimenti è parziale, perché il vero umore del presidente del Consiglio, di fronte al ritorno di Berlusconi, alla crisi aperta dal Pdl, è quello di chi ritiene di non doversi rimproverare nulla: «Sono sereno, ho fatto il mio dovere», è la sintesi del Professore, fra il Consiglio dei ministri, le riunioni con i più stretti collaboratori, le telefonate con Gianni Letta.
E sì, anche Gianni Letta, il plenipotenziario del Cavaliere, l’anima istituzionale di Berlusconi, è stato uno degli attori della giornata di ieri. All’ora di cena varcava il portone di Palazzo Chigi per un colloquio che servirà  a Monti per capire quali sono i veri intendimenti dell’ex premier: le mosse di oggi, l’eventuale ritiro della fiducia formalizzato in Parlamento e dinanzi al capo dello Stato, le decisioni sui prossimi mesi, che coinvolgono un’ordinaria amministrazione che nello stato in cui si trova il Paese resta in qualche modo emergenziale e straordinaria.
«A tutti capita una battuta più o meno felice», ha detto ieri il capo del governo a proposito delle parole di Passera, quell’invito a Berlusconi a restare fuori dalla mischia, che il Pdl ha considerato come un casus belli. Parole diplomatiche, «anche a me tante volte è successo di esprimermi in modo poco felice, ma bisogna valutare il contesto», ha aggiunto il capo del governo, che non ha fatto però mistero, in privato, di criticare apertamente l’infortunio del suo ministro.
Del resto ieri pomeriggio Monti ha offerto davvero pochissimi elementi di polemica, in conferenza stampa, dopo l’approvazione del decreto legislativo sulle cause di incandidabilità . Si è tolto un sassolino dalle scarpe: «Abbiamo legiferato su una materia voluta dal precedente governo e votata da questa maggioranza», ha in sostanza detto lui stesso e fatto spiegare al ministro Patroni Griffi, almeno perché non passi nell’opinione pubblica quella distorsione che oggi rientra fra gli argomenti polemici del Pdl. Insomma, non c’è nulla di questo provvedimento che incroci volutamente i processi contro il Cavaliere, anche perché è stato il Cavaliere stesso, o almeno il suo governo, a iniziare l’iter del decreto che ha visto ieri la luce.
Davanti ai giornalisti ieri il premier si è contenuto: ha detto che «non è il momento opportuno» per replicare alle critiche del Pdl, ha tenuto a scandire di essere «in contatto con il presidente della Repubblica», e di attendere «di conoscere le sue valutazioni sulla base in particolare del preannunciato passo del segretario del Pdl». Salirà  sul Colle per dimettersi? «Non ho in programma nessun passo», almeno non prima di un quadro più chiaro.
Insomma, per il momento, «facciamo il nostro normale lavoro». Quello che preme di più, da dimissionario o meno, è restare alla sella del governo sino al voto, per continuare ad attuare l’enorme mole di riforme sin qui approvate. Qualcuno gli ha chiesto se l’accelerazione del Pdl lo spingerà  a candidarsi. Ha risposto così: «L’argomento oggi è irrilevante».


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