A Pavia l’università  non riconosce la maternità  delle ricercatrici precarie

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Lucia Vergano, 36 anni, è un’economista che si occupa di questioni ambientali. Ha lavorato per la Commissione Europea a Siviglia e, da mercoledì prossimo, ricomincerà  a lavorare in un centro di ricerca a Ispra in provincia di Varese. Come molti precari della ricerca, anche lei conduce una vita nomade. Dopo il dottorato in finanza pubblica a Pavia, ha ricevuto due assegni di ricerca più una serie di contratti di collaborazione dall’università  di Padova. Casualmente, nel 2007 ha incrociato il destino che l’accomuna a circa 1,5 milioni di lavoratori indipendenti iscritti alla Gestione separata dell’Inps e, da quel momento, la sua vita è cambiata. Lucia chiese l’estratto conto contributivo all’Inps di Padova, rendendosi conto che la sua posizione previdenziale aveva più buchi di un gruviera svizzero. Gli atenei non le avevano versato i contributi previdenziali.
«Ho cercato di coinvolgere i miei colleghi .- racconta – ma nessuno era interessato. Passavo per la formichina di turno. Come tutti i lavoratori della conoscenza abbiamo vite complicate, viviamo in paesi diversi, non abbiamo tempo per stare dietro all’Inps». Lucia però non si è data per vinta e ha continuato la battaglia in solitaria fino a quando ha incontrato Gap 11, un gruppo di assegnisti di ricerca dell’università  di Pavia (gasp11.blogspot.it). Insieme hanno fatto un’indagine da cui risulta che dal 2008 al 2012, i contributi versati alla Gestione Separata dai precari e dall’ateneo ammontano a 4300 euro, ma non vengono correttamente registrati dall’Inps. Su 4 anni solo nel 2011 questa cifra è stata correttamente versata. In questa situazione si trovano almeno 1200 precari dell’università  di Pavia e decine di migliaia in tutto il paese. Sebbene molte università , come la Sapienza di Roma, abbiano nel tempo regolarizzato i versamenti, e l’Inps abbia riconosciuto il problema, nessuna delle parti interessate (gli atenei, l’Inps, il ministero del Welfare e i sindacati) ha ancora trovato una soluzione. E tutto è restato immobile. Per i ricercatori di Gap11 questa mancanza sta generando gravissime ripercussioni sulla condizione delle assegniste che partoriscono. La loro indennità  maternità  è più che dimezzata (500 euro su uno spettante di 1200), ma spesso non viene nemmeno erogata perché le assegniste non raggiungono il limite contributivo.
Lo stesso vale per l’indennità  di malattia, gli assegni al nucleo familiare e per il congedo parentale. «L’esistenza della gestione separata – afferma Lucia è un’aberrazione. Siamo in un sistema che è ormai è contributivo a tutti gli effetti per la generazione che ha iniziato a lavorare dopo il 1996 e non vedo la ragione della sua esistenza. Dovrebbe invece esistere un’unica cassa in grado di raccogliere i contributi versati nell’arco di una vita lavorativa». «Sorge il sospetto – scrivono in un comunicato gli assegnisti di Gap11 – che questa situazione faccia comodo, e che qualcuno possa coltivare l’idea di utilizzarla a vantaggio delle casse del futuro ente SuperInps, naturalmente a spese dei soliti noti: i lavoratori precari».


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