“Chiuse mille imprese al giorno nel 2012”

Loading

ROMA — In mille al giorno hanno gettato la spugna, hanno chiuso a chiave uffici e aziende per non riaprirli più. Imprenditori, artigiani, commercianti che nel 2012 – dopo aver fatto un po’ di conti – hanno deciso che la crisi aveva vinto e che era meglio rinunciare alla ditta. Unioncamere ha messo in fila le aperture e le chiusure aziendali dello scorso anno e ha scoperto che il saldo, per un soffio, è ancora positivo. Ma le nove iniziative sono al minimo storico e il numero di chi – invece – ha deciso di non alzare
più la serranda o di non aprire più il cancello è in continuo aumento, raggiungendo la punta massima in quello che un tempo era il ricco Nord-Est.
Nel 2012 hanno chiuso 364.972 aziende, in brusco aumento rispetto alle rinunce degli ultimi due anni: siamo quasi tornati ai livelli del 2009 e poco lontani dal record delle oltre 390 mila aziende che si fermarono nel 2007. Le imprese nate sono state 383.883, la quota più bassa degli ultimi otto anni. Il saldo dunque è ancora positivo, ma per poco più di 18 mila nuove iniziative, quasi sempre legate a donne, immigrati, under-35. In molti casi ex lavoratori che, travolti dalla crisi nel loro precedente posto, e convinti che l’inattività  sia un lusso da non potersi più permettere, hanno deciso di riprovarci.
Per gli artigiani si può parlare di crollo: il saldo è negativo con 20.319 aziende in meno rispetto al 2011. Un risultato con il meno davanti (-1,39 per cento) che arriva per la quarta volta consecutiva e che nasce sia dal che sono state registrate 4 mila nuove aziende in meno rispetto allo scorso anno, sia dal fatto che le chiusure – dopo un rallentamento nel biennio 2010-11 – sono aumentate di quasi 10 mila casi. Il segnale – suggerisce Ferruccio Dardanello, presidente Unioncamere – «che le imprese da sole non possono fare miracoli, che il tempo è scaduto e che il prossimo governo dovrà  metterle al centro della sua azione».
Per chi non ha agganciato l’export, il mercato interno è stato duro, visto il crollo dei consumi. Tracciando il bilancio dei settori, i peggiori risultati si sono registrati nell’agricoltura (meno 2 per cento), nelle costruzioni (saldo negativo dovuto ad oltre 7 mila chiusure, meno 0,82 per cento), in manifattura, dove hanno strappato un saldo positivo solo le imprese dell’alimentare, bevande, riparazioni, ma che nel complesso ha perso oltre l’1 per cento delle aziende. Ancora peggio per le estrazioni in cave e miniere, settore legato a doppio filo all’edilizia, in calo del 2,3 per cento. I aumento invece le attività  di alloggio e ristorazione (ma in molti casi legati all’apertura di bed&breakfast e soprattutto di bar (6 mila in più nell’ultimo anno). Se invece si guarda ai territori, a pagare lo scotto è stato soprattutto il Nord – Lombardia esclusa – che nell’ultimo anno ha perso 6.600 imprese, tre quarti delle quali concentrate nel Nord-Est. Le regioni dove ci sono state più chiusure che aperture sono state Piemonte, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna (dove ha pesato il terremoto), Marche, Molise, Basilicata. Centro e Sud, invece, quanto a saldi, resistono meglio.


Related Articles

Governo-sindacati, decreto bis sul tavolo

Loading

L’Abi rafforza l’asse Passera-Bonanni sulla trattativa. La Cgil insiste: serve altro

Pic-nic pedagogico, per un autunno caldo

Loading

PORTOGALLO
Il sindacato, decine di gruppi di sinistra e di precari si ritrovano per impostare una nuova stagione di lotte

La Cgil non si scopre per evitare «l’effetto D’Alema»

Loading

Ma c’è chi spera nel «rottamatore» per rinnovare anche il sindacato

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment