Dai falchi di Ankara o della guerriglia un colpo alla trattativa con Ocalan

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UNA provocazione, come commenta il premier turco Recep Tayyip Erdogan. Un regolamento di conti interno, come ipotizzano i militari di Ankara. Un crimine di Stato, come gridano i militanti curdi. Oppure un messaggio preciso, volto a far saltare il negoziato appena sorto fra il governo di Ankara e i guerriglieri del Pkk, come anticipano alcuni osservatori? Qualunque possa essere la conclusione delle indagini a Parigi, la feroce esecuzione notturna di tre attiviste curde segna il punto di non ritorno di una trattativa fra esecutivo e ribelli appena abbozzata, e probabilmente destinata a non decollare mai se non in tempi lunghi. Forse ben superiori a quelli che il conflitto sordo nel Sudest dell’Anatolia possa sopportare. Nella zona orientale della Turchia, infatti, è in atto da quasi 30 anni una guerra di bassa intensità , capace di mietere quotidianamente un pugno di morti tanto fra i soldati quanto fra i guerriglieri, del tutto irrisolta. Un massacro che si svolge nel più completo silenzio, e nella totale indifferenza del mondo.
Per cercare di superare questo stallo sanguinosissimo (più di 40mila i morti finora), le autorità  di Ankara e i vertici del Partito dei lavoratori del Kurdistan, la formazione di stampo marxista-leninista fondata da Abdullah Ocalan, si erano accordati lo scorso anno in modo del tutto informale. Sul modello del passato, quando anche alcuni influenti e fidati giornalisti erano stati chiamati a partecipare. Un negoziato infine scoperto dalla stampa turca, e di fronte alla quale Erdogan non ha potuto altro che ammettere l’esistenza. Il suo fedelissimo capo dei servizi segreti Hakan Fidan aveva intavolato trattative segrete con Ocalan, dal 1999 confinato nell’isola- prigione di Imrali, sul Mare di Marmara, dopo la fuga dal suo “santuario” in Siria e la rocambolesca cattura in Kenya al termine di due mesi di soggiorno a Roma che sconvolsero i rapporti fra Italia e Turchia.
E proprio in questi ultimi giorni, nonostante le difficoltà  e le proposte sul tavolo (la fine della guerra contro l’acquisizione di diritti) il negoziato aveva subito un’accelerazione. Due deputati del partito curdo erano stati lasciati partire il 3 gennaio per “l’isola di Montecristo” dove Ocalan, detto Apo, vive da 14 anni il suo esilio come detenuto solitario circondato da militari e navi da guerra. E i servizi segreti di Ankara avevano inviato i loro emissari sui monti Kandil, nel Nord Iraq, dove l’aviazione turca ha per qualche tempo lasciato in pace le basi dove ha trovato rifugio il Pkk, guidato dal vice di Apo, Murat Karayilan, “Serpente nero”. Una Turchia severamente impegnata sul fronte degli aiuti ai profughi provenienti dalla Siria — dove la Nato sarebbe intenzionata a entrare a febbraio — necessita di trovare respiro almeno in una delle sue frontiere bollenti.
È in questo scenario che si inserisce l’agguato parigino ai curdi. Il triplice omicidio in ogni caso si dirige contro il dialogo fra Turchia e Pkk. Da molti anni l’organizzazione un tempo separatista agisce in difficoltà . La leadership di Ocalan è in discussione. E il Pkk appare oggi un movimento frastagliato, con propaggini inserite in Europa ma capaci di arrivare fin sulle montagne dell’Iran. La formazione non sembra poi disposta ad accettare in toto le condizioni di Apo. Alcune frange non sono favorevoli ad abbandonare la lotta armata, anche per i forti interessi economici e i traffici di droga fra l’Europa e la zona a cavallo dell’Iraq.
Mentre, sull’altro fronte, pure gli influenti generali turchi appaiono divisi. I fautori della pace ad ogni costo si trovano scavalcati da chi non transige sulla lotta al terrorismo, né su un’ipotesi di negoziato, e tanto meno su un’intesa che porti al disimpegno militare (e quindi economico e di potere) dalla zona di guerra.
Erdogan, ultimamente interessato alla conquista della presidenza della Repubblica tenta, sulle orme del suo predecessore Turgut Ozal (poi morto in circostanze tuttora non chiare), una mossa che, risolvendo la questione curda, potrebbe proiettarlo verso la Storia. Ma è oggi evidente che in Turchia, nelle ali estreme, c’è chi punta a far abortire qualsiasi tipo di trattativa. Già  i curdi chiamano i loro fratelli a manifestazioni di dissenso. È il minimo che possa accadere. Nel Sudest dell’Anatolia, però, è allarme rosso. C’è infatti chi teme che il massacro di Parigi si trasferisca nel Kurdistan turco, con attacchi e confronti sanguinosi. Se non direttamente in quello delle città 
turche, e addirittura oltre.


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