Le promesse esagerate allungano l’ombra di altra instabilità 

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Ma in gran parte delle forze politiche la consapevolezza di una crisi economica destinata a durare è come messa fra parentesi, quasi si trattasse di una narrativa troppo impopolare per essere tollerata e capita dagli elettori. All’opposto, sembra che tutto congiuri per un’iperbolica impennata delle promesse e dello scaricabarile. E in questo, l’offensiva che Silvio Berlusconi sta sferrando sembra costringere tutti a scendere sul suo terreno: magari rimproverandogli la sua eredità  disastrosa, ma senza riuscire ad affermare una contro-verità  in grado di inchiodarlo.
E pazienza se il risultato potrebbe essere quello, pesante e alla fine suicida, di ritrovarsi dopo le urne con una montagna di impegni impossibili da mantenere; e con una delusione dell’elettorato non solo bruciante ma pericolosa. Alcide De Gasperi, l’uomo della ricostruzione dopo la Seconda guerra mondiale, consigliava ai politici di promettere un po’ meno di quello che potevano mantenere, per lasciare al governo un margine di manovra e dare qualcosa in più. Il modello che si sta imponendo è invece opposto. Per contrastare l’antipolitica di Beppe Grillo e scuotere gli astensionisti, si additano obiettivi sempre più irrealizzabili.
E da questo punto di vista, Berlusconi si conferma il più abile, inducendo anche gli avversari alla tentazione di inseguirlo su quel terreno. Il risultato paradossale è quello di una continua oscillazione fra richiami alle difficoltà  da fronteggiare, e assicurazioni che le cose andranno meglio. L’aspetto più sconcertante di quanto sta avvenendo è la finzione di concretezza che tende a imporsi nei discorsi televisivi e nelle apparizioni in pubblico. Si spiegano in dettaglio i «provvedimenti da prendere»: si tratti di Imu, di posti di lavoro, di spese per l’istruzione o la sanità , di sgravi alle imprese, investimenti, evasori fiscali o diminuzione delle tasse.
La descrizione minuziosa delle ricette dovrebbe renderle in sé credibili, nonostante non sia affatto da escludere una manovra correttiva a primavera; e sia ragionevole prevedere che, come quasi tutte le altre nazioni europee, la politica economica dell’Italia non potrà  discostarsi dagli impegni già  presi. Dunque, entrare nel merito degli strumenti legislativi per addolcire il rigore e promuovere la ripresa finisce, in certi casi, per apparire un modo di parlare d’altro rispetto alla dura realtà  della crisi; e ipotizzare soluzioni tanto miracolose sulla carta quanto impossibili da applicare, a meno di destabilizzare ulteriormente i conti pubblici. È l’effetto di un sistema di voto teso a incoraggiare vecchi schieramenti e un’offerta elettorale che raschiano il fondo del barile sia come alleanze che come contenuti, pur di sedersi da posizioni di forza al tavolo della trattativa dopo il 24 e 25 febbraio.
È forte il sospetto che tutto questo non porterà  alla stabilità  ma ad un’altra legislatura convulsa, e più breve dell’attuale. Ma conta relativamente, rispetto alla convinzione che un bombardamento di promesse possa creare attese e speranze più di una descrizione puntuale delle sfide appena cominciate. Il contorno dei processi contro Berlusconi aggiunge fumo e tensioni ad una campagna che già  tende da sola a incattivirsi e a confondere ulteriormente le scelte dell’elettorato. E, puntando su una radicalizzazione dello scontro, cerca di delegittimare qualunque voce che si appelli alla serietà  e alla moderazione. Mario Monti ha commissionato un manuale con le istruzioni che i candidati della sua lista dovrebbero seguire. Ma forse, dovrà  sostituirlo con un manuale di guerra.


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