«Spiate» a società  e funzionari Inchiesta sulle talpe del Viminale

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I nomi delle «talpe» interne alla Dia, la Direzione investigativa antimafia, che con le loro «soffiate» avrebbero favorito gli indagati, sono già  noti ai pubblici ministeri e non è escluso che nuovi provvedimenti possano essere presi proprio nell’ambito di questo filone investigativo. Per la prossima settimana sono già  stati convocati l’ex vicecapo della polizia Nicola Izzo e il prefetto Giovanna Iurato — entrambi accusati di aver pilotato alcuni lavori per farli assegnare alle imprese «amiche» — per i quali è stata sollecitata l’interdizione dai pubblici uffici. In questi casi la procedura prevede infatti che l’indagato debba essere interrogato e soltanto dopo il giudice decide se attuare la sospensione dal servizio.
Mobbing e fughe di notizie
Nei giorni scorsi i pubblici ministeri hanno ricevuto una lettera anonima che elenca nomi e fatti relativi a questi tentativi, spesso riusciti, di depistare e danneggiare le indagini. In alcuni casi si tratta di circostanze che i magistrati avevano già  verificato e questo fa presumere che l’autore sia ben informato perché interno a una delle strutture delegate alle indagini. Il resto del suo racconto dovrà  essere controllato dalla Guardia di Finanza e la scelta di approfondire quanto svelato dall’ennesimo «corvo» fa ben comprendere quale sia il clima che si respira al Palazzo di Giustizia di Napoli. Anche tenendo conto che nei mesi scorsi alcune perquisizioni avevano dato esito negativo e questo aveva alimentato il sospetto che qualcuno avesse fatto sparire carte preziose, proprio perché avvisato preventivamente. Dubbio confermato da intercettazioni telefoniche e pedinamenti svolti negli ultimi mesi e utili, secondo l’accusa, a dimostrare quanto pesanti siano state le intrusioni.
Scrive il giudice: «Nella richiesta di custodia cautelare viene evidenziato come la relazione gerarchica tra gli indagati — sia quelli appartenenti alla struttura Finmeccanica, sia quelli dei pubblici ufficiali — abbia già  prodotto fenomeni di pressione attraverso comportamenti di mobbing da parte dei superiori nei confronti di coloro che rivestono una posizione sottordinata, nell’evidente tentativo di operare un condizionamento degli altrui comportamenti. Invero efficacemente vengono indicati episodi di tentativi già  attuati delle prove orali o inquietanti fughe di notizie perpetrate ai più alti livelli investigativi, tanto da aver determinato la decisione da parte degli inquirenti di sottrarre le attività  investigative sul l’appalto del Centro elaborazione nazionale alla Dia per assegnarle alla Guardia di Finanza».
«C’è un business che fa paura»
In ballo c’erano commesse da decine di milioni di euro, i vertici di Finmeccanica avevano interesse che tutto filasse liscio. Già  nel 2007, quando Fioriolli guidava la questura e il suo amico Lucio Gentile — per questo ora rinchiuso nel carcere di Poggioreale — si occupava di procacciare affari per la holding, i responsabili della Elsag furono invitati a visionare il luogo dove doveva sorgere la «cittadella della polizia». La procedura di affidamento dell’appalto non era ancora stata avviata, ma loro già  si mostravano sicuri di vincerlo. E al telefono uno di loro confermava: «C’è una notizia importante, me l’ha data ora l’amico: devono trasferire il Ced (Centro elaborazione dati) in un’altra parte della città , in un altro edificio e bisogna fare tutto da zero, sicurezza trasferimento, tutto! Su questa cosa c’è un business che fa paura!».
I magistrati sostengono che Elsag sia stata beneficiata da un accordo preventivo che la designava a svolgere i lavori ben prima che si svolgesse la gara. Non era l’unica, almeno secondo l’accusa che basa questa contestazione sulle testimonianze dei funzionari che si occupavano della scelta delle ditte da invitare.
Il consulente di Izzo
È Anna Smilari, che fu incaricata di preparare il capitolato, a raccontare di aver ricevuto anche l’incarico di preparare la lista delle società  da invitare durante una riunione convocata dal prefetto Izzo ma che poi «la rosa finale delle aziende fu stilata solo da Izzo e Iurato». Nell’elenco c’era la Capgemini di Antonio Burinato. Dichiara la donna: «Iurato mi chiarì che Burinato era persona di massima fiducia di Izzo ed era opportuno che la sua ditta venisse invitata». Scrive il giudice nella sua ordinanza: «Di non secondaria importanza appare il ruolo ambiguo di Burinato che risulta ricoprire il ruolo di consulente dello stesso ministero dell’Interno visto che Capgemini si occupava dei progetti da presentare in sede europea».
Di fronte ai magistrati che lo interrogano sulle procedure seguite, Izzo nega di aver mai convocato una riunione per scegliere le ditte. Poi affronta il capitolo dei presunti favoritismi e afferma: «Tra le ditte da invitare c’era la Capgemini che aveva già  un contratto di consulenza con il ministero per le progettazioni in materia di sorveglianza per quattro Regioni. Non mi sono mai posto il problema della doppia veste di Burinato. È sicuramente una persona capace, ma di certo escludo di aver mai segnalato la sua azienda per la gara del Cen, il centro di elaborazione nazionale». La prossima settimana dovrà  tornare a difendersi proprio dall’accusa di aver gestito gli appalti assegnandoli alle aziende «amiche».


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