Bomba derivati, 43 indagini della Finanza e raddoppiano le operazioni sospette

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ROMA — Si moltiplicano i contratti truccati intorno al mercato finanziario nazionale. Sono 43 le indagini ancora “coperte” che la Guardia di Finanza, su delega di diverse Procure, sta conducendo in tutto il Paese su operazioni in “derivati”, gli strumenti che dovevano proteggere privati e pubbliche amministrazioni dal rischio legato al loro debito e che, al contrario, li hanno trascinati nell’abisso.
 Se i numeri hanno un senso, ce n’è uno – 43 – che si raccoglie in questi giorni al Comando Generale della Guardia di Finanza e che racconta cosa si è mosso e si muove nella pancia del mercato finanziario italiano. Che dà  un contesto alla vicenda Monte dei Paschi di Siena. Quarantatrè sono le indagini ancora “coperte” che la sola Finanza, su delega delle diverse Procure, sta conducendo in tutto il Paese su operazioni in “derivati”, gli strumenti che dovevano proteggere privati e pubbliche amministrazioni dal rischio legato al loro debito e che, al contrario, li hanno trascinati nell’abisso. Come ora con parole drammatiche segnala anche il presidente della Consob, Giuseppe Vegas, avvertendo che «i derivati sono una bolla che mette a rischio l’intera economica mondiale». «Le indagini – si legge in un documento del Comando – hanno fatto emergere due caratteristiche costanti. La prima: il coinvolgimento di intermediari (broker), consulenti (arranger) o controparti delle operazioni che hanno proposto ristrutturazioni di debiti pregressi e la stipula di contratti derivati di copertura. La seconda: il prevalente ricorso a strumenti derivati strutturati, del tipo “interest rate swap non par” e “interest rate swap collar”, sottoscritti da Enti pubblici per tutelarsi dai rischi legati alla variazione dei tassi di interesse applicati sulle strutture di debito assunte da quegli stessi Enti ».
Intorno ai “derivati” e più in generale nei mercati finanziari si è giocata dunque una partita spesso truccata dove hanno guadagnato in pochi con i soldi degli altri e perso in tanti con i soldi propri. E di cui è traccia evidente nelle statistiche che riassumono i risultati raggiunti nel 2012 con un aumento delle persone denunciate e arrestate per reati bancari, societari, fallimentari e di borsa. Spicchi di una stessa mela e protagonisti di uno stessa deriva che un qualificato analista del Comando Generale riassume con un’immagine efficace. «E’ come osservare una scimmia che sega il ramo dell’albero su cui è seduta». Dove la scimmia assume ora le sembianze del banchiere, ora del broker o dell’intermediario finanziario infedeli. Convinta che, in qualche modo, “il mercato” sarà  in grado da solo di assorbire il danno incalcolabile alla fiducia degli investitori (il ramo dell’albero) che, al contrario, una volta spezzata è difficile da rigenerare in tempi brevi.
Del resto, cosa si muova nelle pieghe del nostro mercato finanziario lo dimostra anche il numero delle segnalazioni di operazioni sospette registrate dall’Unità  di Intelligence Finanziaria (Uif) della Banca d’Italia. Nel solo 2012, sono state 67 mila, il doppio rispetto al 2011, e, di queste, 55 mila sono state girate per essere “lavorate” al Nucleo speciale di polizia valutaria, che ne ha chiuse con successo oltre 12 mila. Un dato macroscopico che nei prossimi mesi potrebbe crescere. Non fosse altro per la firma, il 14 gennaio scorso, del “protocollo di intesa” tra la Consob e la Guardia di Finanza.
Atto conclusivo di un faticosissimo iter e che dovrebbe finalmente consentire, dopo anni, lo scambio e l’accesso di informazioni tra le attività  di vigilanza borsistica e il lavoro investigativo della fiamme gialle, che, «a richiesta» della stessa Consob, potranno essere strumento operativo nell’acquisizione di dati, notizie, ispezioni, sequestri e perquisizioni. Rendendo così la vigilanza dei mercati finanziari più concreta e soprattutto tempestiva di quanto non lo sia stata sin qui. Magari impedendo, come è regolarmente accaduto in questi anni, che le stalle vengano chiuse a buoi ormai fuggiti.
Anche perché c’è una verità  elementare che spesso viene rimossa nel discorso pubblico. Nei mercati finanziari si gioca una delle battaglie decisive nella lotta al riciclaggio. «Una holding – si legge ancora in un report del Comando Generale – che è oggi la prima azienda del Paese, davanti a colossi della capitalizzazione come Eni, Enel, Unicredit, Intesa san Paolo». Un’impresa – documenta ancora la Finanza – che ormai ha una dimensione pari al 10 per cento del nostro Pil (statisticamente, esattamente il doppio di quanto uno studio del Fondo Monetario ha calcolato che pesi il riciclaggio nelle economie mondiali). In grado, dunque, soltanto all’interno dei nostri confini, di “produrre” 410 milioni di euro al giorno, 17 milioni di euro l’ora, 285 mila euro al minuto, 4.750 euro al secondo. Che lava e reinveste in “prodotti finanziari” il frutto dell’evasione fiscale (anche per quest’anno stimata in 120 miliardi di euro), come i patrimoni illeciti della criminalità  organizzata, il traffico di stupefacenti. E contro la quale il nostro Parlamento è riuscito a non darsi ancora (l’ultima occasione sfumata è stata l’approvazione con il governo Monti della modesta legge anti-corruzione) lo strumento del reato di auto-riciclaggio. L’unico che consentirebbe un’acquisizione più agevole delle fonti di prova e un’aggressione sistematica ai patrimoni “neri” con sequestri e confische. Lo stesso reato che in paesi europei come Spagna, Portogallo, Svizzera, Germania e Olanda è legge dello Stato ormai da anni.


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