La Fondazione e le casse vuote a giugno

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SIENA — A giugno potrebbero cominciare gli ultimi giorni. «Dallo scenario esposto, si evidenzia una liquidità  della Fondazione Mps che si esaurisce con la fine del secondo trimestre del 2013».
Nero su bianco. L’informativa dello scorso 6 settembre consegnata alla deputazione generale dell’ente che costituisce lo scrigno della senesità  bancaria, è come una sentenza. Non è più solo una questione dei fondi con i quali irrorare il territorio, come è sempre stato, dal mutuo per la pavimentazione della cattedrale alle mense scolastiche dei piccoli comuni. A leggere il documento sulla situazione finanziaria della Fondazione, con l’analisi della liquidità  in prospettiva, è quasi una questione di sopravvivenza.
La rinegoziazione del debito ha ridotto l’esposizione residua a 350 milioni di euro. Ci si è arrivati con lacrime e sangue, pagando 679 milioni ottenuti attraverso la dismissione dei gioielli di famiglia, come Mediobanca e Cassa depositi e prestiti. In questo modo è stata anche tappata la falla generata dai contratti derivati, ad alto rischio o meno, e quella del famoso Fresh del 2008, il prestito da un miliardo organizzato da JP Morgan al quale la Fondazione aveva partecipato con 490 milioni, tutto materiale ormai entrato nelle cronache giudiziarie.
Non è bastato. Restano undici banche creditrici, in prima fila Credit Suisse e Mediobanca che dalla Fondazione avanzano rispettivamente 93 e 71 milioni. Sembra davvero una corsa contro il tempo. La Fondazione Mps comincerà  a restituire il prestito a partire dal 31 dicembre 2015, rata da 60 milioni, con tassi di interesse pesanti, nel migliore dei casi non meno di Euribor 6 mesi più uno spread del 4,25%. Molto più di un mutuo. Da qui ad allora sarà  una penitenza. Le banche hanno imposto le loro condizioni per rinegoziare il debito. «Il contratto prevede, per il nostro Ente, precisi limiti quantitativi in relazione alle uscite di cassa annuali dell’attività  istituzionale». A farla breve, dieta assoluta.
Il finanziamento delle banche non è certo gratis. Oggi la Fondazione è spogliata del suo tesoro principale. Agli istituti creditori sono stati infatti consegnati in pegno quasi 4 miliardi di azioni ordinarie di banca Mps, pari al 33,5% del capitale sociale, e anche i titoli del Fresh 2008, 490 milioni di euro di proprietà  della Fondazione. C’è anche la clausola di salvaguardia: se il valore delle azioni scende sotto il 70% del debito (in gergo bancario Loan to value), le banche si prendono tutto, ovvero il Montepaschi.
Il valore della banca per ora è doppio rispetto al debito della Fondazione, ma il mercoledì, giorno fissato dall’accordo per la ricognizione sul valore delle azioni, è sempre un giorno del giudizio. Poteva anche essere peggio. La rinegoziazione ha eliminato una clausola draconiana: il default della Fondazione nell’ipotesi che Mps venisse degradata a BB dalle agenzie di rating. Proprio come è avvenuto ieri. La «ferma richiesta» fatta dalla Fondazione per eliminare questa clausola in controluce lascia intravedere scarsa fiducia nell’andamento della banca.
L’informativa consegnata ai membri della deputazione generale riflette ogni peccato di questa storia. Non solo la necessità  di chiudere il debito, ma anche quella di sistemare due derivati fatti male come Zero cost dollar, stipulato con Credit Agricole, e MPS Capital Services, sottoscritto con lo stesso Montepaschi. Investimenti fallimentari che hanno inflitto alla Fondazione altri 10,3 milioni di perdita. Erano legati al rialzo dell’Euribor, che invece è crollato a picco. Il passaggio che riguarda la loro ristrutturazione, perfezionata il 10 luglio 2012, è critico nei confronti di chi ha scommesso a senso unico, creando così per la Fondazione «una situazione di sensibile esposizione» al rischio.
La radiografia è impietosa. Nonostante la cura, il paziente è ancora in gravi condizioni. E nessuno dei medici curanti si azzarda a dichiararlo fuori pericolo. Anzi. «Il contratto in oggetto sottopone comunque il nostro Ente a diversi e importanti rischi, che si sono molto amplificati in seguito con il nuovo piano industriale di banca Mps». L’elenco che segue è la descrizione del futuro prossimo della Fondazione: ridotta libertà  di manovra con «limitatissime» disponibilità  liquide, necessità  di effettuare ulteriori vendite di asset per fare fronte alle esigenze finanziarie, «probabile» assenza di dividendi di Banca Mps, definita «ormai unica fonte di reddito corrente» fino al 2014. E infine, il «rischio», così viene definito, della vendita di «una ulteriore importante quota» della partecipazione in banca, che farebbe scendere il portafoglio azionario sotto la soglia del 33.5% che consente il controllo sull’assemblea straordinaria. Qualcosa andrà  fatto comunque. Le simulazioni dei flussi di liquidità  sono impietose. L’esaurimento delle risorse è previsto per la fine del secondo trimestre del 2013, e questo nel migliore dei due scenari che vengono formulati. A Siena si annunciano tempi duri, durissimi.


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