La nostra vita in coda quelle 400 ore perdute tra poste, banche e Asl

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QUATTROCENTO ore ogni anno. Aspettando Godot. Sedici giorni persi, buttati via, consumati in coda tra noia e insofferenza davanti allo sportello dell’Asl o delle poste, al semaforo o in banca. Una vita in fila, sempre più spesso e sempre più a lungo. Questo raccontano gli ultimi dati Istat.
FOTOGRAFANO un Paese dove tra burocrazia e mancanza di personale, tra furbetti e maleducati impegnati a gabbare il vicino e superarlo, cresce anno dopo anno l’esercito di chi staziona davanti ai banconi con gli occhi fissi al numeretto.
È un’Italia in perenne attesa, dove nel migliore dei casi la metà  dei cittadini aspetta ben più di venti minuti prima di riuscire a consegnare la pratica o parlare con l’addetto. Dove il Sud sta ancora una volta peggio del Nord, dove il record del disservizio alle poste è della Basilicata (l’84,2 % degli utenti ci mette quasi mezz’ora per ritirare la pensione) mentre la maglia nera delle code all’Asl tocca all’Abruzzo e all’anagrafe del Lazio il poco ambito primato di file più intense e frequenti.
Ed è proprio negli uffici, siano pubblici o banche, che finisce la metà  delle ore espiate in coda, che si bruciano otto giorni l’anno di vita cercando di sbrigare burocrazie e speranze. Come gli illusi che nei giorni scorsi a Genova, cadendo nel bluff elettorale di Berlusconi, si sono messi in fila sperando di riavere i soldi dell’Imu.
Code a mo’ di gironi infernali che si riformano di continuo, che aumentano del 10% l’anno. Da un lato perché negli uffici è diminuito il personale mentre sempre più cittadini chiedono certificati, dall’altro perché luoghi come le poste sono diventati banche con moltiplicazione dei servizi, analizza Sante Orsini dell’Istat che ammette una certa ritrosia telematica degli italiani che li spinge ad uscire di casa invece che approfittare della Rete. Così ci ritroviamo sempre più incolonnati, nonostante le innovazioni tecnologiche, che permettono di fare la spesa o controllare il conto corrente via computer, ultima delle quali è Qurami, ovvero una crasi di coda, in inglese que, e curami. È un applicazione scaricabile sul telefonino che consente di prenotarsi negli uffici e sapere a distanza quanto manca al nostro turno,
cosi da organizzarsi il tempo. Un sistema già  in funzione all’ufficio di collocamento e a breve anche alla Camera di commercio di Milano, rodato all’università  Luiss della capitale, e in via di utilizzazione dalla Provincia di Roma e dal Comune di Firenze.
Le code paiono però impossibili da sconfiggere nonostante per l’85 degli italiani siano uno vero stress, e vengano vissute come spreco di tempo totale anche perché un solo utente su dieci inganna il tempo leggendo libri o giornali. Sembra esserci poco da fare: l’idea stessa di fila o rispetto delle precedenze pare essere estranea al Dna italico.
«Il 46 per cento degli italiani ammette di cercare di saltare la coda utilizzando trucchi, imbrogli che non migliorano certo la situazione». Marco Managò ha scritto “Gli Italiani il fila”, saggio sociologico elaborato intervistando centinaia di utenti. Italiani che, ammette, probabilmente si sono dipinti meglio di come si comportano, visto che quando elencano le motivazioni per cui esistono le code mettono solo al terzo posto con un misero 5 per cento il fatto che la gente sia indisciplinata, mentre puntano il dito sui «disservizi, sul fatto che siamo in troppi e che dietro alle code ci sarebbe la volontà  di complicare le cose».
Burocrazia vista come nemica, certo, ma c’è diffidenza e solitudine dietro quell’ammasso di persone. «La gente ancora non si fida delle pratiche in Rete, preferisce andare a parlare con l’impiegato sperando di ottenere di più con la discussione e nell’attesa sfoga malumori con i vicini, condivide pezzi di vita in quello che diventa uno dei pochi spazi rimasti di vita sociale. Anche se per superare il vicino si è pronti ad ogni astuzia e maleducazione ». Tanto che persino sul web c’è una sorta di manuale per gabbare gli ingenui e gli onesti in coda, inventandosi malori improvvisi, auto in doppia fila anche se non si ha la patente e cosi via. Avanti il prossimo.


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