Le mani del mercato su un demanio pubblico

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Oggi oltre un sesto della popolazione globale non ha accesso all’acqua potabile e più di un terzo non dispone di un sistema adeguato di bonifica. Le patologie legate alla mancanza o alla scadente qualità  dell’acqua restano la prima causa di mortalità  nel mondo. La disuguaglianza nell’accesso all’acqua rappresenta una delle più gravi ingiustizie che colpiscono i poveri nel mondo. Non è un caso che la costituzionalizzazione del diritto all’acqua stia oggi interessando principalmente il Sudamerica e il continente africano, regioni, queste, nelle quali il conflitto sulla gestione delle fonti di approvvigionamento è sempre stato particolarmente aspro. Basti pensare alla rivolta boliviana del 2000 conclusasi con la modifica costituzionale dell’articolo 20 e con il riconoscimento del «diritto all’accesso universale e uguale al servizio di acqua potabile». Ma qualcosa di significativo è avvenuto anche in Italia con i 27 milioni di cittadini che nel giugno del 2011 hanno impedito, attraverso un referendum, la privatizzazione dell’acqua. Tutto ciò è la «dimostrazione che la lotta per i diritti e la loro affermazione sono sempre il frutto del conflitto sociale».
A ricordarcelo, da ultimo, è un prezioso volumetto di Carlo Iannello, Il diritto all’acqua. L’appartenenza collettiva della risorsa idrica (La Scuola di Pitagora Editrice, Napoli).
Il libro di Iannello, professore associato di Istituzioni di diritto pubblico alla Seconda Università  di Napoli, si configura come un’attenta analisi delle questioni giuridiche connesse al diritto all’acqua. Un’analisi che l’autore conduce in modo sistemico, indagando sulla complessità  dei rapporti tra economia e diritto, tra storia e costituzione. Ma anche tra politica e morale. Del resto – ammonisce Iannello – la questione dell’acqua è anche una questione di natura etica che interroga tutti noi sulla «moralità  di trarre profitti da questo bene».
Di qui il tentativo, sotteso a tutto il volume, di utilizzare il tema del diritto all’acqua alla stregua di una «cartina di tornasole» di tutte le contraddizioni che agitano l’attuale fase storica: il dominio del mercato, la rottura del paradigma democratico, il repentino dissolvimento dello Stato democratico-sociale. L’offensiva neoliberista – ricorda ancora Iannello – «si sta infatti spingendo sino ad ambiti che fino a poco tempo addietro apparivano inimmaginabili, minacciando i beni e i servizi che la tradizione dello Stato sociale di diritto aveva qualificato come pubblici, sottratti al mercato e riservati alla sfera pubblica».
Ma con la privatizzazione dell’acqua si è verificato qualcosa in più. In questo caso – a differenza di quanto è avvenuto, in passato, con la privatizzazione di altri beni e servizi pubblici – si è voluto deliberatamente colpire un bene fondamentale della vita, indispensabile alla vita stessa e a quasi tutte le attività  umane (dall’agricoltura all’industria). Di qui l’esigenza – ripetutamente espressa dall’autore – di imprimere un cambio di paradigma, di «individuare gli strumenti necessari per riaffermare la sovranità  popolare su risorse essenziali per la vita», di rilanciare il disegno costituzionale che individua, proprio, nella partecipazione dei cittadini alla vita economica, politica e sociale del Paese la soluzione privilegiata per rendere effettivi i diritti.
Per un giurista prospettare un mutamento di paradigma, significa innanzitutto indagare sulla capacità  di tenuta degli istituti giuridici e sulle categorie fondamentali del diritto, individuandone carenze e potenzialità . Ed è proprio questo lo sforzo che Iannello conduce nella parte centrale del libro, descrivendo accuratamente le tappe della disciplina giuridica delle risorse idriche (dalla legge di municipalizzazione del 1903 all’articolo 43 della Costituzione); indagando sulla dimensione normativa del demanio inteso come «proprietà  pubblica» e come «proprietà  collettiva»; delineando il fondamento giuridico del diritto all’acqua nei termini di un «nuovo» diritto costituzionale.
Una disamina giuridica chiara e scrupolosa che indurrà  l’autore ad optare, nelle ultime pagine del libro, per il «regime demaniale», l’unico in grado di veicolare le ragioni costituzionali della solidarietà  e di reimpostare i rapporti economico-sociali in modo coerente con i principi fondamentali della Carta repubblicana: «è il diritto, pertanto – conclude Carlo Iannello – se vuole interpretare compiutamente il suo ruolo, che deve stabilire quali attività  sono affidate al mercato e quali ne sono sottratte, perché necessarie per l’attuazione del bene comune. E la politica deve assumersi la responsabilità  di queste scelte, non fondarle su un preteso vincolo derivante da una supposta natura economica delle cose».
Un esito, questo, ancora possibile. Ma ad una condizione. Che la politica si emancipi definitivamente dal dominio dell’economico e torni a riaffermare il proprio primato etico e ideale nel governo delle cose e degli uomini.

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LA PRESENTAZIONE A NAPOLI

Il libro di Carlo Iannello «Il diritto all’acqua. L’appartenenza collettiva della risorsa idrica» si presenta oggi pomeriggio a Napoli nella sede dell’Istituto italiano per gli studi filosofici a palazzo Serra di Cassano (via Monte di Dio 14, ore 16.00). A discuterne con l’autore, Gianni Ferrara, professore emerito di diritto costituzionale alla Sapienza, Paolo Maddalena, ex vice presidente della Consulta, Massimo Villone, professore di diritto costituzionale alla Federico II, Lorenzo Chieffi, professore di diritto costituzionale alla seconda università  di Napoli e l’autore della recensione che pubblichiamo, Claudio De Fiores, anche lui professore di diritto costituzionale alla seconda università  di Napoli.


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