Sono dunque penso

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Se anche non fosse stata quella di un grande filosofo, la lunga vita di Friedrich Wilhelm Joseph von Schelling, che aveva quattordici anni quando fu presa la Bastiglia e che morì nel 1854 mentre era in vacanza in Svizzera, ormai al tempo dei dagherrotipi e dei lampioni a gas, basta a illuminare un pezzo di storia intellettuale europea. Con i relativi usi e costumi accademici, politici e sentimentali, con figure come Goethe e Hegel e Hà¶lderlin (e le donne di Schelling: Carolina, che per sposarlo divorzierà  da Wilhelm August von Schlegel e morirà  nel 1809; Paulina Gotter, che gli darà  sei figli; sino alla passione platonica di Schelling settantenne per una giovinetta inglese, Eliza Tapp, adattissima per un caso clinico di Freud) tutto descritto con sublime maldicenza da Xavier Tillette, uno dei massimi studiosi di Schelling nella Vita di Schelling tradotta per Bompiani da Marco Ravera, con una ricca introduzione di Giuseppe Riconda.
Ma ci sono anche motivi di attualità  filosofica. Che, da una parte, come dimostra il libro di Emilio Carlo Corriero, Libertà  e Conflitto. Da Heidegger a Schelling, per un’ontologia dinamica, con un saggio di Manfred Frank (Rosenberg e Sellier, 2012), riprendono la tradizione di studi schellinghiani avviati a Torino negli anni Settanta dal Luigi Pareyson, il maestro di Eco e di Vattimo. E dall’altra si aprono ad altre tradizioni, come nel libro di Wolfram Hogrebe e Markus Gabriel, Predicazione e genesi. L’assoluto e il mondo, a cura di Simone Luca Maestrone, uscito anch’esso recentemente da Rosenberg. Hogrebe è uno dei massimi filosofi tedeschi contemporanei, che con uno stile colto e ironico propone una rilettura di Schelling insieme analitica e speculativa. Gabriel, poco più che trentenne, è impegnato in un rinnovamento profondo della filosofia tedesca, in dialogo con altre tradizioni, dalla filosofia analitica al nuovo realismo. Ed è proprio il richiamo al realismo (esplicito anche nel volume di Corriero) che sta alla base di questa rinnovata attualità  di Schelling, e in particolare della sua “seconda” o “tarda” filosofia, nel dibattito teorico contemporaneo.
Per Schelling “Cogito ergo sum”, il punto di partenza cartesiano, è stato un falso movimento: dal pensiero all’essere. Tutta la filosofia moderna, da Kant a Fichte, a lui stesso da giovane, a Hegel che ormai lo ha soppiantato nel favore filosofico dei tedeschi, è dunque una filosofia negativa. “Penso dunque sono”, “le intuizioni senza concetto sono cieche”, “il razionale è reale”, significa che la certezza va cercata nell’epistemologia, in ciò che sappiamo e pensiamo, e non nell’ontologia, in quello che c’è. Ma con questo si apre un abisso tra il pensiero e l’essere, uno iato destinato a non venir più recuperato, come del resto testimonia tutta la storia della filosofia degli ultimi due secoli. Per il secondo Schelling bisogna procedere in senso inverso. L’essere non è qualcosa di costruito dal pensiero, ma è qualcosa di dato, di offerto, prima che il pensiero abbia inizio. Non solo perché abbiamo la testimonianza di epoche interminabili in cui c’era il mondo ma non c’era l’uomo, ma anche perché ciò che inizialmente si manifesta come pensiero viene da fuori di noi: le parole di nostra madre, i miti che (esattamente come le barzellette) non hanno inventori, e sono residui di senso in cui ci imbattiamo proprio come alla Mecca ci si imbatte in un meteorite.
Il pensiero è anzitutto natura, cioè non è un cogito trasparente, ma un inconscio che si rivela poco alla volta, se si rivela. Incontriamo oggetti che avevano una consistenza ontologica indipendentemente dal nostro sapere e che di colpo o attraverso un lento processo vengono conosciuti. Scopriamo parti di noi (per esempio, di essere invidiosi, di avere la fobia dei topi o di amare qualcuno) così come scopriremmo pezzi di natura, resti fossili di dinosauri. Ci si rivelano elementi della società  (per esempio, la schiavitù, lo sfruttamento, la subordinazione femminile e poi con una crescente sensibilità  il mobbing o il politicamente scorretto), che, di colpo, risultano insopportabili, e che dunque prima rimanevano seppelliti, cioè assunti come ovvi, in un inconscio politico o sociologico. Verrà  indubbiamente, e auspicabilmente in tantissimi casi, il momento della “presa di coscienza”. Ma sarà  appunto un esercizio di distacco rispetto a una adesione precedente, non un atto assoluto di costruzione del mondo attraverso il pensiero. Nel mondo psicologico e sociale il motto di Schelling potrebbe essere “Sono dunque (talora) penso”.
Lo stesso vale nel mondo naturale. La tesi di Schelling è che la natura è spirito inconscio, il che può apparire una romanticheria, aggravata dal fatto che nei suoi ultimi anni il filosofo facesse sedute spiritiche con la Regina di Baviera. Ma di fatto apre a tutt’altro. Anzitutto spiega perché il pensiero aderisca al reale con una forza pre-teoretica che non è vinta da nessuno scetticismo: semplicemente, il pensiero è una parte del reale. E c’è un senso in cui, quando lo spirito indaga la natura, sta scoprendo se stesso. Non perché la natura sia il prodotto dello spirito, come appunto vogliono i pensatori negativi, ma perché lo spirito è un risultato della natura, esattamente come le leggi della gravità , della fotosintesi e della digestione. La mente, insomma, emerge dal mondo, e in particolare da quel pezzo di mondo che la riguarda più da vicino, il corpo e il cervello. Poi si confronta con l’ambiente, naturale e sociale, e con sé stessa. In questo confronto, che è una ricostruzione e una rivelazione e non una costruzione, la mente elabora (individualmente ma ancor più collettivamente) una epistemologia, un sapere, che assume a proprio oggetto l’essere. L’incontro fra mente e mondo, così come tra ontologia ed epistemologia, non è garantito, è sempre possibile l’errore. Ma quando la mente riesce a riconciliarsi con il mondo da cui proviene, allora abbiamo la verità .


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