Anche Prandelli marcia contro le mafie

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FIRENZE — Con quel fiore di carta stretto nel pugno, e brandito come una spada della pace, Giovanna sembra veramente la «pulzella» della giustizia. «Vi sconfiggerò con un sorriso», grida divertita mentre il suo volto si perde nel serpentone colorato delle 150 mila persone, per lo più ragazzi, che dalla Fortezza da Basso, a due passi dalla stazione di Santa Maria Novella, guadagna lo stadio per l’ultimo atto della grande manifestazione contro la mafia organizzata da Libera, quest’anno a Firenze per il ventennale della strage dei Georgofili. Altri 899 fiori, uno per ogni vittima (conosciuta) delle cosche, ondeggiano e si mostrano coloratissimi con le loro scritte impresse sulla grande corolla: nomi dei caduti (che più tardi saranno ripetuti uno a uno dai familiari nell’area allestita davanti allo stadio) ma anche frasi ironiche e beffarde contro i boss. «I mafiosi sono intelligenti, gli manca solo la parola», «La mafia nuoce gravemente alla salute», «La mafia non ha pizzo». Si legge e si ride, si guarda verso la testa del corteo e ci si commuove. Perché lì — seguiti dal fondatore di Libera don Luigi Ciotti, dal premio Nobel per la pace Adolfo Peres Esquivel, dal magistrato Giancarlo Caselli, dal segretario generale della Cgil Susanna Camusso, dal sindaco di Napoli Luigi de Magistris, da Nando della Chiesa, dal procuratore di Firenze Giuseppe Quattrocchi, dal sindaco Matteo Renzi e dal ct della nazionale Cesare Prandelli e tanti altri — ci sono i familiari delle vittime delle stragi mafiose.
Gioia e commozione si fondono e fortificano questo esercito che marcia nel ricordo dei momenti più oscuri con quello sguardo al futuro illuminato dall’ottimismo. Molto ancora c’è da fare per bloccare quello che il procuratore Quattrocchi chiama «capacità  del fenomeno mafioso di pervadere il contesto sociale e farsi lui stesso istituzione» perché, spiega, se una volta «il mafioso si appoggiava al politico, adesso si fa lui stesso politico» e contro questa «infezione» solo la gente, il popolo, può essere il giusto anticorpo, magistratura e forze dell’ordine da sole non possono bastare.
Eppure ieri, nel giorno dell’elezione di Pietro Grasso a presidente del Senato, ci si diverte nel vedere i ragazzi di Scampia saltare davanti allo striscione «No alla camorra, sì alla vita» e ci si entusiasma quando accanto alla lunghissima bandiera della pace si inizia a cantare la canzone dei Cento Passi dedicata a Peppino Impastato. «Serve un’antimafia sociale — spiega Giancarlo Caselli —, una partecipazione attiva della comunità , della cittadinanza, proprio come oggi».
C’è Paolo Siani, ed è entusiasta: «Mio fratello Giancarlo avrebbe apprezzato questo modo di ricordare le vittime della mafia». C’è Franco La Torre, il figlio di Pio: «Non stupiamoci tutte le volte, questa è voglia di riscatto». Dopo due ore di marcia il corteo arriva allo stadio. Non si entra (e qualcuno ci resta male) ma ci si inoltra in uno spazio un po’ ristretto, con palco allestito accanto al «Franchi». È il momento più toccante. Si scandiscono e si applaudono i nomi delle vittime, si ascoltano le parole nel premio Nobel, l’argentino Esquivel: «La vostra lotta è anche la nostra, uniti per un mondo migliore». Susanna Camusso ricorda che anche il lavoro viene ucciso dalla criminalità  organizzata e che «la crisi non ha indebolito la mafia ma ha favorito il suo ingresso nelle attività  imprenditoriali». Don Ciotti definisce la mafia come la peste e chiede al mondo politico e istituzionale di non dividersi. E poi ammonisce: «Le parole irresponsabili sono gravi e favoriscono la mafia, come quelle di chi dice che i magistrati sono peggio della piovra. Sono parole che uccidono una seconda volta le vittime della mafia».
Arriva il messaggio di Napolitano che parla di «segnale di speranza e determinazione»: «L’Italia ha sempre saputo trovare, nei momenti difficili della sua storia, la forza di reagire alle avversità , attingendo al suo straordinario patrimonio di civiltà  di cui Firenze è esempio indiscusso». Poi tocca a Fiorella Mannoia parlare con la musica. E quando intona «Io non ho paura» i 150 mila cantano. Sorridendo, piangendo. E giurando che combatteranno, come ha chiesto don Ciotti, per «non farli uccidere una seconda volta anche con il silenzio» quei novecento eroi antimafia.


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