Bersani chiede la fiducia al Pd In direzione ci sarà  pure Renzi

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ROMA — Ci sarà  anche Matteo Renzi, domani, alla direzione nazionale del Pd, segno che la diplomazia bersaniana ha provato a ricompattare tutte le anime del partito. Il segretario aprirà  la riunione del parlamentino confermando la linea del «governo di combattimento» con i Cinquestelle ed è convinto che la maggioranza voterà  per lui. «Magari non avremo l’unanimità  â€” sospira un dirigente vicino al leader — ma Bersani otterrà  dal partito un mandato pieno». Dopodiché, se Napolitano non dovesse dare a lui l’incarico, ci sarà  un’altra direzione ed è lì che potrebbe scorrere metaforicamente il sangue: perché in quel caso i democratici dovranno decidere se la subordinata sono le elezioni o il governissimo con Berlusconi.
Lo scontro dunque è rinviato, o almeno Bersani ci spera. Il candidato premier ha bisogno dell’unità  e i suoi hanno lavorato sodo per placare i capicorrente. Il leader ha chiamato Renzi e il sindaco gli ha promesso che non farà  scherzi. Il suo motto è «stai fermo e aspetta», tanto che ha rinviato la riunione di oggi con i suoi parlamentari: così da non alimentare dietrologie su una «corrente» renziana che si prepara ad abbattere il segretario in carica.
Ma se i bersaniani sono certi che «nessuno avrà  il coraggio di andare alla guerra», nessuno è disposto a giurare che tutto filerà  liscio. «Se Bersani forza, io non lo so cosa succede» avverte un deputato vicino a Renzi. E Paolo Gentiloni ha detto al Messaggero che l’alternativa a un governo Bersani «non possono essere elezioni immediate». Il problema è la determinazione del segretario a insistere sulla linea dura, a dispetto degli appelli del Quirinale. Letta, Franceschini, Veltroni, Fioroni, Finocchiaro e lo stesso Renzi sono preoccupati per i toni ultimativi del leader, che ha minacciato di portare il Paese al voto se Grillo dovesse sottrarsi alle sue responsabilità . Diversi dirigenti hanno chiamato Bersani per convincerlo a essere più flessibile e meno sferzante verso il Pdl, per sintonizzarsi con la moral suasion del Colle. Il timore dei maggiorenti è che — con i grillini che sembrano aprire a un governo tecnico — il Pd possa rimanere spiazzato: sarebbe paradossale se Napolitano potesse contare sull’appoggio del M5S a un governo del presidente, ma non su quello di Bersani.
Renzi, che dialoga con Franceschini e Veltroni, è concentrato sui problemi di Firenze, ma quel che pensa il sindaco non è diverso da quanto dichiara a «24 Mattino» Matteo Richetti: «Mi rassicura il fatto che un’eventuale intesa non sia nelle mani di Bersani e di Grillo, ma del capo dello Stato». E ancora, come a stigmatizzare il «tocca a noi» intonato da Bersani: «È Napolitano che nomina il premier, nessuno si può autoproclamare». E quando gli chiedono se il capo dello Stato possa affidare l’incarico a una persona diversa da Bersani, Richetti risponde che sì: «Nel Pd ci sono anche altre personalità  che hanno competenze forti sul piano economico e sociale». Parole che hanno indispettito molto Vasco Errani, presidente dell’Emilia e braccio destro del leader.
Al Pd hanno messo in conto che l’incarico al segretario non è scontato, eppure Bersani non si rassegna. Per spiegarne l’ostinazione i nemici raccontano che in via Tomacelli, già  prima del voto, si fosse insediata per ordine del capo una «task force» incaricata di lavorare su organigrammi e segreterie ministeriali. Dopo la débacle, ai democratici non resta che spartirsi le presidenze dei gruppi parlamentari. Franceschini e Finocchiaro vorrebbero restare ai loro posti, ma i «giovani turchi» ritengono la richiesta irricevibile: «Rinnovamento subito» è la linea di Matteo Orfini, che sul governo sostiene con forza Bersani: «O si fa una maggioranza con il M5S, o si vota». Anche Massimo D’Alema esclude accordi con il Pdl e concorda sul fatto che «nessuna soluzione può prescindere dal Pd». E Nico Stumpo ammette che l’idea del governo con Grillo è «particolare», ma il segretario vuole portarla avanti: «Chi ha il 25 per cento deve mettere le mani in pasta».
Nel Pdl, con un Berlusconi che si sente assediato dalla magistratura e minacciato, anche nella sua libertà  personale, da processi e inchieste che si accavallano l’un l’altra, la posizione non cambia: da Alfano a Lupi, da Cicchitto a Bonaiuti si invoca «responsabilità », perché «la delicata situazione economica impone una soluzione». Il che significa che si accetterebbe un governo politico Pd-Pdl ma anche un esecutivo del Presidente, con ministri «d’area» e la sostanziale rassicurazione che Berlusconi non verrà  «perseguitato» ma, in qualche forma, tutelato.


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