Camera e Senato, nulla di fatto Ipotesi candidati Pd. Ma si tratta

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ROMA — È stato il caos a dominare la giornata inaugurale delle Camere e ad aprire, sotto non buoni auspici, la XVII legislatura. Tre fumate nere a Montecitorio e due al Senato, in un rincorrersi convulso di trattative e incontri. Al centro del «vortice» il tentativo di Mario Monti di conquistare lo scranno più alto di Palazzo Madama, operazione complicatissima attorno alla quale ruota l’intero puzzle istituzionale. Se il premier restasse invece a Palazzo Chigi, al Senato dovrebbe andare la democratica Anna Finocchiaro. Altrettanto delicata e incerta la partita della Camera, dove alle undici di ieri sera il Pd era ancora in attesa di una risposta da Monti sui candidati alternativi di Scelta civica.
I negoziati per l’elezione dei due presidenti sono andati avanti fino all’alba, in un clima di tensione crescente. Oggi si vota e, nel segreto dell’urna, tutto può ancora succedere. Nella confusione generale ci sono alcuni punti fermi. Il primo è che nella valanga di schede bianche alla Camera il candidato più gettonato per la presidenza è stato il grillino Roberto Fico con 113 voti, mentre 52 ne ha ottenuti Luis Alberto Orellana a Palazzo Madama. Il secondo riguarda Monti, il quale ha cercato con determinazione i voti per essere eletto presidente del Senato, ha dialogato con il Pdl e poi con il Pd e a sera è salito al Quirinale, dove si è scontrato con la ferma opposizione di Napolitano. Il tutto, mentre già  imperversava il totonomine della successione a Palazzo Chigi attorno ai nomi dei ministri Cancellieri, Giarda e Gnudi. Il terzo punto fermo è che il dialogo tra il Pd e i Cinquestelle è finito prima di cominciare. «Ormai Grillo va dritto per la sua strada» ammette rassegnato Bersani e dichiara aperto il confronto con i centristi: «Qui il problema è Monti… Fosse stato per me, l’intesa con Scelta civica l’avrei fatta da un pezzo». Bersani preferirebbe non fare filotto prendendo per sé entrambe le presidenze. E così il candidato premier ha sentito Monti e, nonostante l’«imbarazzo istituzionale» del Pd, gli ha giurato di non avere preclusioni sul suo nome. L’accordo in sostanza è fatto, ma lo stop del Colle sulle dimissioni di Monti dal governo ha riaperto i giochi in favore di altri nomi centristi: Dellai o Balduzzi a Montecitorio e Mauro al Senato (anche se, dopo il loro vertice notturno, i montiani sono orientati a votare oggi scheda bianca). Il gruppo del Pd è lacerato e non solo per la mossa di Bersani di aprire la legislatura a colpi di schede bianche. I sostenitori di Franceschini non vogliono rinunciare a colui che da tempo studia da presidente e non è escluso che oggi l’impresa riesca proprio al capogruppo uscente. Bersani si dice persino «allegro», eppure il partito e la coalizione ribollono di umori neri.
Il leader si chiude con Casini, Letta e Franceschini. Vendola riunisce i suoi e spiazza il Pd con un appello a votare alla Camera per il «grillino», idea che per mezzo Pd è fumo negli occhi. Bersani parlerà  ai gruppi stamattina e cercherà  di ricompattare le truppe. Un altro punto fermo nello stallo di queste ore è il confronto che si è aperto tra Pd e Lega in vista di quell’esecutivo che Bersani spera ancora di riuscire a formare: «Il problema è fare un governo, ma bisogna anche governare. Ci sono cose urgenti da fare subito». Maroni ha 17 preziosi senatori che, sommati ai 123 del centrosinistra e ai 20 di Monti, garantirebbero la fiducia sul filo. «La Lega? — non smentisce Bersani — Ho salutato Bossi, è una persona simpatica…». Anche dentro Scelta civica il debutto è scandito dal nervosismo. L’ipotesi di un accordo che escluda il Pdl agita gli uomini di Montezemolo, inquieti anche per l’autocandidatura di Monti al Senato.


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