L’1% DI UGUALI PIà™ UGUALI DEGLI ALTRI

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I mercati, anche quando sono stabili, producono spesso forti disuguaglianze, percepite come inique. La crisi finanziaria ha scatenato una nuova percezione: il sistema economico è non solo inefficiente e instabile, ma anche profondamente iniquo. È stato giustamente percepito come gravemente “ingiusto” il fatto che molti operatori del settore finanziario (“i banchieri”) si siano appropriati di bonus stratosferici, mentre coloro che hanno sofferto per la crisi causata (anche) da questi banchieri si sono ritrovati senza un posto di lavoro; o che i governi abbiano “salvato” le banche, ma che siano stati riluttanti a estendere le reti di protezione ai disoccupati o ai nuovi homeless.
Sebbene la liberalizzazione dei mercati abbia portato a una più elevata produzione aggregata, larghi strati della popolazione hanno peggiorato la propria condizione. Considerate per un momento ciò che un’economia mondiale interamente globalizzata (con i capitali e la conoscenza che circolano liberamente) comporterebbe: tutti i lavoratori con le medesime abilità , dovrebbero ricevere lo stesso salario in qualunque posto del mondo. I lavoratori americani non specializzati dovrebbero ottenere lo stesso salario che un lavoratore non specializzato otterrebbe in Cina. Ciò significherebbe che i salari dei lavoratori americani cadrebbero precipitosamente. Il salario prevalente sarebbe una media tra quello americano e quello del resto del mondo, con un notevole livellamento verso il salario più basso prevalente altrove. Non sorprende il fatto che i sostenitori della completa liberalizzazione, credendo in genere al buon funzionamento dei mercati, non pubblicizzino questo risultato.
I critici delle politiche redistributive a volte suggeriscono che il costo della redistribuzione stessa è troppo alto. I disincentivi, sostengono, sono troppo alti, e i guadagni per i poveri e la classe media sarebbero più che compensati dalle perdite sopportate dai ricchi. Si sente spesso affermare dai fondamentalisti del mercato che potremmo avere una maggiore uguaglianza distributiva, a prezzo di una crescita più lenta e un inferiore pil pro capite. La realtà  è esattamente l’opposto: abbiamo un sistema che si sta operando per spostare i soldi dalla popolazione che ha redditi bassi e medi ai ricchi, ma il sistema è così inefficiente che i guadagni per la classe agiata sono molto inferiori alle perdite per le classi medie e basse.
C’è una seconda via attraverso cui le politiche economiche guidate «dall’1 per cento» possono produrre instabilità : la deregolamentazione. La deregolamentazione è un elemento centrale dell’instabilità  che molti Paesi hanno sperimentato. Dare carta bianca alle grandi corporation, in particolare nel settore finanziario, è stato nell’interesse miope delle classi più ricche; costoro hanno usato il loro peso politico e il loro potere di influenzare le idee per sostenere la deregolamentazione, dapprima nei settori delle compagnie aeree e di altri servizi di trasporto, poi nel settore delle telecomunicazioni e in ultimo nei mercati finanziari.
Gli apologeti della disuguaglianza sostengono al contrario che dare più soldi ai più ricchi sarà  a vantaggio di tutti, perché porterebbe a una maggiore crescita. Si tratta di un’idea chiamata trickle-down economics (economia dell’effetto a cascata). Essa ha un lungo pedigree e da tempo è stata screditata.
Come l’evidenza empirica dimostra, una maggiore disuguaglianza non ha portato a una più alta crescita, e la maggior parte degli americani ha visto i propri redditi affondare o ristagnare. Quello che l’America sta vivendo in questi ultimi anni è l’opposto dell’economia dell’effetto a cascata: le ricchezze accumulate dai più ricchi sono state ottenute a scapito di quelle ricevute dai meno abbienti.
Le 358 persone più ricche al mondo hanno una ricchezza pari a quella del 45 per cento più povero della popolazione mondiale. Se consideriamo i dati riferiti ai tre individui più ricchi al mondo otteniamo una ricchezza che corrisponde a quella dei “Paesi meno sviluppati” messi insieme, circa 600 milioni di persone. Più in generale, l’1 per cento più ricco degli individui detiene circa il 40 per cento della ricchezza mondiale; il 50 per cento più povero della popolazione mondiale detiene solo l’1 per cento della ricchezza complessiva.
La grande recessione non ha creato la disuguaglianza, ma di certo l’ha aggravata. Con le opportune politiche possiamo migliorare la situazione. La domanda è: possiamo farlo? Sì, a patto che il 99 per cento della popolazione si accorga di essere stato ingannato dall’1 per cento: che ciò che è nell’interesse dell’1 per cento non è nel loro interesse. L’1 per cento ha lavorato sodo per convincere il resto della società  che un mondo alternativo non è possibile.
Traduzione Mauro Gallegati


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