La jamahiriya telematica

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La parola tornerebbe dunque a un Parlamento senza rete e alla libera discussione dei sempre invocati “contenuti”. Ma si tratta solo di una apparenza. Sul Parlamento semiparalizzato uscito da queste elezioni incombe più che mai l’ombra dell’emergenza e della tecnocrazia; sul ritorno alle urne la potenza di quel terrorismo finanziario che ha costretto la Grecia a piegarsi al governo-gendarme che oggi si ritrova. I partiti hanno perso milioni di voti, l’astensione è cresciuta di 5 punti e il nuovo, il non-partito, si manifesta nella forma di un Partito tutt’altro che “leggero”, incline alla disciplina interna e al vincolo di mandato (meglio avere torto con Grillo che ragione contro di lui, per riprendere una massima d’altri tempi). Il nuovo partito approdato alle camere e che ne ipoteca fortemente il destino è, in realtà , stando ai suoi principi e alle sue pratiche, di natura squisitamente postparlamentare. E’una pia illusione quella di confidare nella sua rapida assuefazione alla normalità  repubblicana. Non ci troviamo di fronte a una possibile rigenerazione della democrazia rappresentativa, ma alla sua crisi più catastrofica e profonda. Questo il rischio, questa l’occasione.
Grillo ha parlato chiaro: «nessun governo con i partiti», il che significa anche «nessun governo dei partiti». Procediamo allora per esclusione. Nella modernità , le forme note di un governo senza partiti sono: a) il partito unico in tutte le sue varianti storiche; b) il governo tecnico, dal collegio dei professori alla giunta militare; c) dispositivi di autogoverno comunitario a guida autoritaria come la Jamahiriya teorizzata da Gheddafi nel suo “Libro verde”. La prima forma, pur continuando a guidare il paese più popoloso e l’economia più dinamica del mondo, è decisamente fuori moda. La seconda è o un governo dei partiti mascherato o una feroce dittatura. La terza, in versione meno beduina e più telematica, è decisamente la più vicina all’ideologia del M5S. Il “Libro verde” teorizzava infatti una partecipazione di base diretta esercitata in assemblee e comitati popolari, “garantita” da una guida ideale e carismatica priva di qualsiasi carica formalizzata, ma dotata di un formidabile potere informale. Beninteso, nel passaggio dalla realtà  più chiusa e controllabile delle assemblee di villaggio o di quartiere alla dimensione più aperta, articolata e diffusa della rete, le metamorfosi non sono poche. Anche se il comunitarismo, compresi i suoi tratti più autoritari e prescrittivi, ha dimostrato una certa capacità  di adattamento al cyberspazio. A ben guardare gli adolescenti, spinti al suicidio dalla gogna telematica, ci indicano una insidiosa riproposizione della “Lettera scarlatta”. Aleggia, infine, nella rete ma non solo, l’idea di un governo etico-politico non espresso dai partiti. Una entità  che oscilla tra il trucco (sarebbero sempre i partiti a decretarne la vita e la morte) e la fantasticheria a occhi aperti (un cavallo di Troia che porterebbe nel cuore del Palazzo le ragioni dei cittadini veicolate da filosofi e intellettuali di buona volontà ).
Il Colonnello aveva battezzato la sua impresa “Terza rivoluzione universale” (dopo il capitalismo e il comunismo) e, senza fare paragoni azzardati o irriverenti, è un’espressione piuttosto consonante con l’aria che tira nelle più ambiziose esternazioni di M5S o nelle visioni fantascientifiche di Roberto Casaleggio.
Nonostante la colorita fantasia politica dei fondatori non vi è dubbio, tuttavia, che lo straordinario consenso raccolto da M5S rispecchi pienamente la composizione (o scomposizione) sociale caratteristica del modo di produzione contemporaneo (ma lo stesso può dirsi e in forma anche più radicale della crescente astensione): la sua precarietà , l’instabilità  di ruoli e funzioni, le crisi di identità , l’insofferenza crescente per una eterodirezione senza contropartite, la mancanza di riconoscimento così prossima al senso di una ingiustizia patita, l’attrito sempre più insopportabile tra il doversi inventare e reinventare la vita e l’insieme di regole e procedure sclerotiche, quando non autoritarie, entro cui ci viene imposto di farlo. Queste regole e queste procedure vengono spesso identificate con l’arbitrio, il privilegio e la corruzione che si annidano nelle strutture dello stato, raramente, come invece si dovrebbe, anche con la natura di queste stesse strutture. E’ un sentire, questo, che si estende dal precario al piccolo e medio imprenditore, dal pensionato allo studente, dalla partita iva al dipendente a rischio disoccupazione. Più che di una formazione interclassista si dovrebbe pensare in questo caso a una formazione “intersentimentale”, che dei sentimenti ne abbraccia anche di cattivi. In questione è un sentire saldamente radicato nella struttura materiale della società , nelle sue forme intrecciate di vita e di produzione, laddove risentimento e rivolta, frustrazione e indignazione convivono indistinti. L’ennesimo paradosso è però che queste condizioni di vita disomogenee, asimmetriche, e per tanti versi irrappresentabili, queste soggettività  così renitenti alla delega abbiano preso, in non piccola parte, la via della rappresentanza parlamentare. Affidandosi a un “non partito” che si propone il compito davvero arduo di “rappresentare” la democrazia diretta. E’ come se la crisi della rappresentanza, giunta al culmine, esigesse non solo la sua rappresentazione, ma una sua propria rappresentanza e il rifiuto della delega potesse essere a sua volta delegato. C’è da dubitare che le virtù della rete valgano a sciogliere questa contraddizione.
Di fronte a tanto enigma tutti guardano ipnotizzati alle mosse di M5S. Come saranno? Cosa faranno? Cosa li terrà  uniti? Come se tutto il disagio sociale, i conflitti, i movimenti ostili all’ordine neoliberista, il pensiero critico fossero ibernati nell’attesa, di una sponda, di un esito o di chissà  cosa. Non che non se ne comprendano i motivi. I movimenti, operai, studenteschi, territoriali hanno subito negli ultimi anni pesanti sconfitte. Non c’è da stupirsi allora che la speranza in un cuneo piantato nel cuore del sistema politico abbia suscitato molteplici aspettative. Ma è proprio questa latenza delle lotte e dei movimenti la vera impasse. E’ questa attesa che lavora a favore della restaurazione o dell’avvento di un cattivo nuovo. Un piccolo esempio, ma significativo, può servire a illustrare questa deriva. A Parma, una cittadinanza contraria all’installazione di un termovalorizzatore si affida a un sindaco a 5Stelle che si impegna a impedirne la realizzazione, ma non ce la fa. Perché? Per il semplice fatto che nessuna delega può sostituire la lotta sul campo e l’esercizio diretto del conflitto. Grillo non afferra la differenza tra un movimento e un “non partito” rappresentato nelle camere. Tanto è vero che, rifiutando l’alleanza con i partiti, sbandiera quella con i movimenti. Come se si trattasse di entità  collocate sullo stesso piano, mentre invece tra chi vota le leggi e chi punta a determinare situazioni di fatto e mutare rapporti di forze concreti esiste un divario necessario e incolmabile (che non significa necessariamente incomunicabilità ) che non risponde a nessuna logica di alleanza. L’ultimo a teorizzare l’alleanza con i movimenti fu Fausto Bertinotti dopo gli scontri di Genova del 2001. E quella operazione politica non ha lasciato un buon ricordo.
So bene che lamentare un’assenza è politicamente vano e teoricamente debole. Tuttavia non posso sottrarmi a una fantasia e a un auspicio: una forte ripresa dei movimenti potrebbe conseguire risultati straordinari. C’è da scommettere che una grande mobilitazione studentesca riuscirebbe, in questo contesto, a liberarsi del numero chiuso, farla finita con l’Anvur, con gli strapoteri baronali, a ottenere risorse per la scuola e la ricerca insieme con la riduzione delle tasse universitarie. Un vasto movimento di scioperi e agitazioni potrebbe strappare, dopo tanti arretramenti e umiliazioni, aumenti salariali e democrazia nei luoghi di lavoro. Una grande ondata di occupazioni sarebbe assai difficile da contrastare. Il lavoro precario questa volta potrebbe imporre davvero il reddito di cittadinanza e scardinare un regime fiscale che strangola la sua vita reale in ossequio al mito della piena occupazione promessa. Fantasticherie, d’accordo. Ma il terremoto politico provocato dal Movimento 5 stelle non riuscirà  a compiersi, a dispetto di ogni carisma del suo fondatore e presunte virtù della democrazia digitale, senza la forza autonoma di queste insorgenze, oltre ogni forma di rappresentanza.


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