La via d’uscita: dare l’incarico al ministro dell’Interno

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ROMA — Visto che il pallino è tornato in mano a Napolitano, era chiaro che ieri sera il capo dello Stato avrebbe chiamato il leader del Pdl. Così è stato. E Berlusconi ha garantito che sarà  presente alle consultazioni lampo di oggi. Andrà  «ad ascoltare» l’estrema mediazione che il presidente della Repubblica si è riservato, lo farà  con «il rispetto dovuto a chi si sta adoperando» per superare lo stallo, ma tenendo ferma la linea che Alfano aveva spiegato nell’ultimo giro di contatti con il Pd: «Senza un accordo preventivo sul Quirinale, non daremo alcun tipo di sostegno a Bersani». Per il resto, il Pdl — come ha ribadito Berlusconi all’inquilino del Colle — resta favorevole alle larghe intese, «anzi eravamo pronti persino a sostenere anche un monocolore Pd».
Ma a una condizione, sulla quale il Cavaliere non deflette e che alla luce del risultato elettorale il centrosinistra — a suo modo di vedere — deve riconoscere: Bersani non può pretendere che — avendo preso le presidenze delle Camere e puntando a palazzo Chigi — il Pd esprima il futuro capo dello Stato. È un ragionamento che aveva fatto breccia nei giorni scorsi tra i democratici e che sembra abbia trovato ascolto anche nelle stanze del Quirinale. Berlusconi chiede che il successore di Napolitano sia una personalità  riconducibile «all’area moderata e liberale» e che venga indicata dal Pdl e dalla Lega all’interno di una rosa. Quanto ai nomi che vengono fatti dal fronte opposto — da Prodi a Zagrebelsky — li considera «provocazioni» ma non lo preoccupano.
Se queste sono le posizioni e se il Pd non dovesse recedere, l’estrema mediazione a favore del «preincaricato» pare dunque già  segnata, anche se gli sherpa democratici ieri notte erano ancora al lavoro per arrivare a un compromesso con il Pdl. Ma Berlusconi — soddisfatto dal vantaggio di posizione conquistato e dalle crepe che vede aprirsi nel Pd — considera di fatto chiuso l’esperimento di Bersani. E aspetta che Napolitano escogiti un piano B, o meglio che lo formalizzi.
Il fatto è che il terremoto elettorale ha lesionato gravemente il sistema e c’è il rischio che il tentativo (pressoché fallito) di Bersani ne provochi il crollo. Per impedire che le istituzioni si sbriciolino con un ultimo scossone, sarebbe pronta una manovra d’emergenza che consentirebbe di imbragare il Palazzo ormai pericolante. L’idea sarebbe di puntellarlo, senza toccar nulla, con un gabinetto fotocopia rispetto a quello attuale, affidato alla titolare dell’Interno Cancellieri, che manterrebbe anche l’interim del Viminale.
Insomma, un governo Monti senza Monti, con la sostituzione dei ministri che sono «saliti in campo» con il Professore. A questo esecutivo — dalla durata breve — verrebbe affidato il compito di far partire la legislatura, con l’obiettivo di provare a cambiare la legge elettorale per poi riportare il Paese subito alle urne. Sarebbe una sorta di «fermo immagine» della situazione esistente, un governo a cui i partiti della (ex) «strana maggioranza» potrebbero garantire una «fiducia tecnica» che non li impegnerebbe politicamente.
Può Bersani accettare questo compromesso? Di sicuro non può accettare dopo di sé un «governo del presidente» con la convergenza politica in Parlamento dei voti del Pd con quelli del Pdl. Se ci fosse stata questa possibilità , allora avrebbe preso corpo un’altra opzione — di più lungo respiro — con un gabinetto affidato a Saccomanni che già  incontrava i favori di Berlusconi, siccome agli occhi del Cavaliere il direttore generale di Bankitalia «è persona sobria, riconosciuta e apprezzata all’estero, che non sarà  mai un secondo Monti»…
Ma l’esito del drammatico colloquio al Quirinale tra il capo dello Stato e il segretario democratico ha precluso questa via. Il «pre-incaricato», pur non ottenendo il lascia passare da Napolitano per andare subito in Parlamento a cercare la fiducia, ha avuto la forza di opporsi ad altre soluzioni che avrebbero decretato la fine della coalizione di centrosinistra e messo a repentaglio la stessa tenuta del Pd. La soluzione Cancellieri potrebbe favorire il compromesso, lasciando inalterata la distanza tra i due schieramenti. Non solo, sgombrato in tempo utile il campo dal problema del governo, il Parlamento potrebbe poi occuparsi dell’elezione del nuovo presidente della Repubblica.
Non è dato sapere se, in quel caso, il «fermo immagine» per Palazzo Chigi si riprodurrebbe anche per il Quirinale, se cioè — per tenere imbragato il Palazzo pericolante — i partiti si acconcerebbero a rinnovare l’incarico a Napolitano. In fondo si tratterebbe di una tregua per evitare latenti conflitti istituzionali e promesse di future delegittimazioni. Il Cavaliere infatti ha già  pubblicamente detto che considererebbe «un golpe» l’avvento di Prodi al Colle.
Difficile capire se il progetto di puntellamento del Palazzo sia già  in fase avanzata, anche se alcuni indizi lo fanno immaginare: l’altro ieri, mentre Monti alla Camera diceva di non vedere l’ora di essere sollevato dall’incarico, Berlusconi accreditava proprio la Cancellieri come prossimo premier. Sono comunque molte le variabili e troppe le incognite. Una su tutte: ammesso che si arrivi a un’intesa su un governo Monti senza Monti, i partiti troverebbero poi un’intesa sulla riforma della legge elettorale?


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