Obama abbraccia Israele “Avete diritto di difendervi fieri di essere vostri alleati”

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GERUSALEMME — «Per la pace in Terra Santa, i palestinesi devono avere uno Stato sovrano, essere padroni del proprio destino. Israele ha il diritto di difendersi , la decisione spetta a voi e il sostegno dell’America non è mai stato così forte. Per impedire che l’Iran costruisca l’atomica, l’America continua a privilegiare la diplomazia, ma tutte le opzioni sono sul tavolo inclusa quella militare ». Barack Obama inaugura a Gerusalemme la sua visita più attesa, la più rischiosa. Non era mai venuto qui nel suo primo mandato, mentre era stato in Egitto e in Arabia saudita, attirandosi le accuse di essere solo un “quasiamico” di Israele. All’inizio del secondo mandato vuole rassicurare l’alleato storico, fin dal suo arrivo all’aeroporto Ben Gurion celebra «il legame che non si potrà  mai spezzare fra le nostre due nazioni ». Deve ricucire i rapporti tesi con il premier Benjamin Netanyahu, ma prima di tutto vuole parlare all’opinione pubblica israeliana: perciò con una scelta inusuale oggi si rivolgerà  non alla Knesset (il Parlamento) bensì a una vasta platea di cittadini, soprattutto giovani, che lo ascolteranno al Centro Congressi di Gerusalemme.
Arriva in un momento di altissima tensione, per i sospetti sull’uso di armi chimiche in Siria. «Se accade, sarà  varcata la linea rossa — dice il presidente nella conferenza stampa congiunta con Netanyahu — e cambierà  il gioco». Obama si dice però molto scettico sulla versione del regime di Assad ripresa dalla Russia, cioè l’accusa all’opposizione siriana di aver usato le armi chimiche. «Vogliamo investigare a fondo, sappiamo che il governo di Damasco ha questi arsenali, e al suo interno c’è chi è disposto a usarli ». A chi gli rimprovera un mancato intervento militare contro Assad, mentre continua la carneficina della popolazione, Obama ribatte: «Assad deve andarsene, e sono convinto che se ne andrà , ma è la comunità  internazionale che deve agire perché questo è un dramma per il mondo intero». Lancia l’allarme sulla possibilità  che armi di distruzione di massa «finiscano nelle mani degli Hezbollah ». Netanyahu, riconfermato alla guida del governo ma indebolito dalle ultime elezioni, è in vena di riconciliazione e vuole dimenticare i ripetuti dispetti fatti in passato al suo interlocutore (tifò per Mitt Romney nell’ultima elezione presidenziale). Il premier israeliano è generoso di elogi per «il sostegno militare senza precedenti dell’America», con la promessa di rinnovo del patto di assistenza fino al 2017.
Non appena arrivato all’aeroporto, Obama ha passato in rassegna uno dei sistemi anti-missili che «hanno salvato migliaia di vite umane» durante la guerra di Gaza del novembre 2012. Furono intercettati 400 missili, secondo le stime israeliane. Quel sistema di difesa è stato finanziato con 275 milioni di dollari da Washington,
altri 211 milioni sono in arrivo quest’anno, e alla fine il sostegno americano sfiorerà  il miliardo. «Nessun altro presidente degli Stati Uniti — dice Netanyahu con un complimento forse eccessivo — ha mai affermato con tanta forza il diritto di Israele a difendersi ». È vero che Obama teorizza le affinità  profonde tra le due nazioni: «Stiamo insieme perché siamo due democrazie, abbiamo in comune la più grande forma di governo mai realizzata». Ma aggiunge che questo «stare insieme » deve avere come obiettivo comune «la pace in Terra Santa». A questo fine, incalza il presidente, «Israele deve spezzare il suo attuale isolamento in Medio Oriente ». Da tempo la Casa Bianca preme su Netanyahu perché tragga la lezione dalle primavere arabe. Per quanto le rivolte anti-autoritarie siano ancora incompiute, e gli sviluppi politici dall’Egitto alla Libia restino gravidi di incognite, una cosa è chiara per Obama. Lo ha spiegato in un’intervista alla tv di Tel Aviv Channel 2: «Si è creata una situazione nuova, Israele non può basare la stabilità  su alcuni autocrati alla guida dei paesi vicini. Nel suo stesso interesse, Israele deve imparare a parlare alle opinioni pubbliche del mondo arabo». È un gioco molto più complesso, dispiegare la diplomazia parlando con i popoli vicini. La via maestra che indica Obama: «I palestinesi diventino padroni del proprio destino, per convogliare le loro energie verso lo sviluppo economico, beneficiando l’intera regione».
Memore dei fallimenti passati, anche da parte dei suoi predecessori meglio intenzionati (Jimmy Carter e Bill Clinton), il presidente americano non è arrivato a Gerusalemme con un nuovo piano di pace in tasca. «La soluzione tarda da oltre 60 anni. Il mio ruolo sta nel dirvi che per l’America due Stati sovrani sono la soluzione, che rilanciare il processo di pace per noi è la priorità ». Ma il nuovo governo israeliano si è formato solo da pochi giorni e Obama non vuole sprecare la sua credibilità  con annunci a vuoto. «Stavolta sono venuto ad ascoltare, prima che a parlare». Oggi vede il presidente dell’Autorità  palestinese, Mahmoud Abbas, poi tornerà  ancora a parlare con Netanyahu. Il percorso della sua visita è un dosaggio sapiente. Prevede due passaggi nella zona sotto Autorità  palestinese, a Ramallah per l’incontro politico poi a Betlemme per visitare la Chiesa della Natività . A Gerusalemme Obama renderà  omaggio alla tomba di Theodore Herzl, padre del sionismo moderno, e a quella di Yitzakh Rabin assassinato nel 1995 dopo la firma degli accordi di Oslo con Yasser Arafat. Visiterà  l’impressionante Yad Vashem, memoriale dell’Olocausto, ma anche il museo con i Manoscritti del Mar Nero per ricordare che le radici degli ebrei in questa terra «risalgono a tremila anni fa». La sua visita si è aperta con un incidente tecnico, la limousine presidenziale guasta per aver sbagliato carburante (gasolio anziché benzina), i servizi segreti costretti ad attivare l’auto blindata di ricambio e a farne arrivare un’altra dalla Giordania. Ben altri sono gli incidenti che lo preoccupano.
«Il presidente ha stimato che l’Iran non avrà  l’atomica prima di un anno — dice Netanyahu — e nella sostanza condividiamo questa valutazione. Ma un anno è poco». Il premier israeliano incassa il riconoscimento americano che Israele ha il diritto di difendersi. Ma per i servizi segreti israeliani gli impianti nucleari di Teheran sono al di là  della portata di un “colpo preventivo” scagliato solo da Tel Aviv. Obama sa di rischiare: «Tocca ai dirigenti iraniani capire che saranno più sicuri se rinunciano all’atomica. Coglieranno questa opportunità ? Finora non hanno dato segni incoraggianti».


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