Primarie e fondi ai partiti, Renzi sfida Bersani

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ROMA — «Tutto il Pd gli ha detto “vai avanti”. Speriamo che ce la faccia… Io non sono molto ottimista, ma spero di avere torto». Ieri sera Matteo Renzi, dalla trasmissione tv Che tempo che fa, ha commentato così la possibilità  che Pier Luigi Bersani riesca a formare un governo, giudicandola un tentativo «molto complesso».
Renzi ribadisce la sua «lealtà » al segretario del suo partito. Però, da quando ha perso le ultime primarie del Pd, con quasi il 39 per cento dei consensi contro il 61 di Bersani, sta organizzando una sorta di partita per la rivincita. Lo fa cercando di non esporsi eccessivamente ad attacchi interni, all’accusa di remare contro; del resto ha esperienza, ha sempre lavorato in politica: nel 1999, all’età  di 24 anni, è segretario provinciale del Ppi fiorentino, poi coordinatore della Margherita, poi presidente della Provincia, infine sindaco di Firenze.
Dunque, se Bersani dovesse fallire, sarebbe «naturale, gioco forza, tornare a votare». E, se davvero si tornasse alle urne in tempi ravvicinati, le primarie sarebbero «un passaggio obbligato. Il bello del Movimento 5 Stelle è che stanno facendo passare il messaggio che il cittadino è importante. Il Pd questa cosa l’ha fatta e poi si è fermato».
Le critiche al suo partito, che a questo punto sembra quindi prepararsi al voto, continuano. Riferendosi indirettamente alla direzione nazionale della settimana scorsa, Renzi dice che avrebbe preferito «ascoltare i parlamentari neoeletti invece che la riunione dello stesso organismo di quattro anni fa. Io sono abbastanza allergico alle formazioni politiche tradizionali. Sono per un partito bello, una comunità  di persone, non un partito che fa riunioni come fossero sedute di terapia di gruppo».
Anche il programma di Bersani finisce nel mirino: «Se agli otto punti aggiungesse l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti non farebbe alcun atto di demagogia ma di serietà . Si ristabilirebbe una sintonia con il Paese». Bersani ha dichiarato di voler in qualche modo ridiscutere quella legge, senza però rinunciare alla convinzione che «la politica deve avere una qualche forma di sostegno pubblico, altrimenti la fanno solo gli ottimati e i miliardari». Il tema però è centrale nel confronto con i grillini, che vorrebbero interrompere questo flusso di denaro.
E le alleanze restano al centro degli argomenti di Renzi. «Non credo alla possibilità  di un governo Pd-Pdl, almeno politico», afferma. Esattamente come «non esiste» l’idea, circolata ieri sui mezzi di informazione, che lui voglia creare una nuova formazione insieme con Mario Monti e gli ex Ppi (un’eventualità  che ieri è stata liquidata anche dal vice segretario pd Enrico Letta come «gossip giornalistici di puro politichese»). Ma che fare allora con il M5S? Il sindaco di Firenze ritiene «un errore considerare Grillo come tutti gli altri partiti, e sarebbe un errore tentare di acquisire il consenso con uno scambio di poltrone alla vecchia maniera, l’inciucione»; ancora: «Spero che lo scilipotismo non diventi una caccia al grillino». Tuttavia, «se Grillo si leva la maschera e decide di fare un governo con Bersani… per carità . Magari chiariamoci cosa vuol dire uscire dall’euro, perché la mia opinione è che ci sia poca Europa».
Quando infine arriva l’inevitabile domanda se, con Renzi al posto di Bersani, il risultato del voto sarebbe stato migliore, il sindaco di Firenze risponde: «Questa ormai è una barzelletta. È insopportabile vivere di rimpianti e nostalgie. Chi lo sa, da noi si dice “se mia nonna avesse le ruote sarebbe un carretto”». Però anche qui, commentando la campagna elettorale, non manca una stoccata: «Avremmo potuto dire con forza alcuni temi che avrebbero sgonfiato sia il Pdl che il M5S».
Tutte carte che Renzi prepara sul tavolo sperando di poter giocare una rivincita. E c’è anche altro. I suoi due assessori comunali eletti con il Pd si sono dimessi per entrare alla Camera. Rosa Maria Di Giorgi lo ha salutato scrivendogli «sono certa che presto ti ritroverò con responsabilità  ancora maggiori»; mentre Dario Nardella gli ha garantito che da parlamentare sarà  «una sorta di ambasciatore al suo servizio».


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