Tagli di spesa, imposte ai milionari il Senato vara la Finanziaria Obama

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AMMAN — «Oggi il Senato ha approvato un bilancio in grado di creare occupazione, e ridurre il deficit in modo equilibrato». Barack Obama è ancora in Giordania, all’ultimo giorno del suo viaggio in Medio Oriente, quando incassa questo parziale successo sul fronte interno. «Come il piano del presidente – commenta il portavoce della Casa Bianca Jay Carney che lo accompagna – il testo votato al Senato taglia sprechi e spese inutili, ed elimina i privilegi fiscali che consentono l’elusione delle imposte ai contribuenti più ricchi». E’ un’austerity progressista (875 miliardi di tagli di spese soprattutto militari, in dieci anni) e temperata dall’iniezione di 100 miliardi da investire subito per le infrastrutture. Un successo solo parziale, però, perché in questa versione le probabilità  che il bilancio passi anche alla Camera sono vicine allo zero: il Senato ha una maggioranza democratica, ma la Camera è in mano ai repubblicani. La votazione dei senatori tuttavia ha un’importanza più che simbolica. Conclusa alle cinque del mattino di Washington, dopo una seduta-fiume notturna, la vittoria dei sì segna la prima volta in quattro anni che una legge di Bilancio viene approvata dal Senato, a riprova dello stallo legislativo creato dalle “due maggioranze contrapposte”. Il testo passato al Senato include ben 1.000 miliardi di dollari di nuove imposte (in aggiunta ai 600 miliardi di tasse varate a gennaio), spalmate sul prossimo decennio. Salvaguarda i programmi di spesa sociale che invece sono nel mirino dei repubblicani.
Il totale del bilancio federale in questa versione raggiungerebbe 3.700 miliardi nell’anno fiscale 2014. Nel testo di legge è prevista la corsia preferenziale per la riforma del Codice fiscale, quella che deve eliminare privilegi e deduzioni che hanno reso spesso irrisoria la pressione fiscale sulle grandi imprese e i contribuenti più ricchi. Ma la Legge Finanziaria del Senato non eliminerebbe il deficit pubblico al termine del decennio. E’ passata per un soffio, con 50 sì e 49 no. Nessun senatore repubblicano l’ha votata, e quattro democratici hanno fatto defezione. I quattro no in campo democratico vengono da senatori che l’anno prossimo alle elezioni di mid-term rischiano di perdere il seggio, in Stati dove l’elettorato è tradizionalmente conservatore sui temi della spesa pubblica e del fisco. A questo punto si apre un negoziato con la Camera, che ha un nome promettente ma ingannevole: “Reconciliation”. E’ il termine tecnico che designa la procedura negoziale per limare le differenze tra due testi di legge approvati nei due rami del Congresso. In questo caso le distanze essendo abissali, ci vorrà  ben altro che una limatura.
Il piano di Legge Finanziaria della Camera ha il segno opposto: prevede tagli drastici alle due grandi voci del Welfare americano: la Social Security (pensioni) e il Medicare (assistenza sanitaria per gli anziani over-65). I tagli voluti dalla destra alla Camera sono superiori a quelli già  scattati all’inizio di marzo per effetto del “sequester”, la mannaia automatica che ha ridotto i fondi per molti ministeri e agenzie federali. I repubblicani contestano il fatto che il piano “di sinistra” passato ieri al Senato lascerebbe in eredità  566 miliardi di deficit al termine del decennio, e un debito pubblico aggiuntivo di 5.200 miliardi. «La priorità  del Senato – ribatte la senatrice Patty Murray che presiede la commissione Bilancio – è creare lavoro e crescita economica partendo dal basso, da chi ne ha più bisogno oggi».


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