Un autobus chiamato apartheid

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Ma gli israeliani si disinteressano di questa nuova discriminazione verso i palestinesi Dopo le strade adesso arrivano in Cisgiordania anche le linee di autobus separate per coloni israeliani e palestinesi. La compagnia «Afikim», che trasporta i palestinesi dai Territori occupati in Israele, ha organizzato linee di autobus diverse per ebrei e arabi. Motivazione ufficiale? Le lamentele dei coloni che prendono gli stessi mezzi dei palestinesi per andare in Israele e che dicono di temere attentati e aggressioni «da parte degli arabi». È un altro passo verso quel sistema di segregazione in Cisgiordania che i palestinesi denunciano da tempo e che avviene mentre nel mondo si ricorda la figura di Rosa Parks (nata il 4 febbraio 1913), attivista dei diritti degli americani neri, divenuta celebre per aver rifiutato nel 1955 di cedere il posto su un autobus ad un bianco.
Dalla parte dei coloni si è schierato subito il ministero dei trasporti israeliano che però nega che si tratti di autobus speciali per i palestinesi. «Non abbiamo organizzato automezzi separati, ma due diverse linee per migliorare i servizi offerti ai lavoratori arabi che entrano in Israele dal posto di blocco di Eyal – ha spiegato un portavoce – il Ministero non è autorizzato a impedire a nessun passeggero di salire a bordo di un mezzo di trasporto pubblico: la creazione delle nuove linee è stata fatta con il completo accordo dei palestinesi». Il portavoce militare da parte sua mette le mani avanti e dice che le forze armate non sono coinvolte in alcun modo. «L’esercito – ci ha detto ieri sera una portavoce dei comandi militari – non è competente per queste cose, non sono decisioni nostre».
Protestano gli attivisti palestinesi che parlano di «autobus dell’apartheid» nel quadro di un progetto di segregazione più ampio. E trovano la piena solidarietà  di Betselem, il centro israeliano per i diritti umani nei Territori occupati. «Il tentativo di segregazione – afferma la direttrice, Jessica Montel – è palese e le giustificazioni fornite non bastano a camuffare una politica razzista che intende unicamente impedire ai palestinesi di salire sugli autobus che prendono i coloni».
La richiesta dei coloni parte anche da un’altra motivazione. I settler israeliani viaggiando con i palestinesi sono costretti ad attendere i lunghi controlli, ai posti di blocco di polizia ed esercito, ai quali sono soggetti i palestinesi. Mentre si spogliano, mostrano documenti, si sottopongono alla trafila quotidiana di vessazioni che le autorità  chiamano «controlli di sicurezza», i coloni sbuffano, guardano l’orologio e forse pensano che questa perdita di tempo sarebbe evitabile se a bordo non salissero anche i palestinesi. In ogni caso, i coloni preferiscono non viaggiare con gli arabi. Da qui la decisione del ministero di organizzare linee separate, da una parte gli israeliani, dall’altra i palestinesi.
Ieri sera la televisione pubblica israeliana ha mandato in onda un servizio sull’«autobus dell’apartheid» e confermato che il passo fatto dalle autorità  ha origine dalle proteste dei coloni. Ciò di cui la tv non ha riferito è l’indifferenza della popolazione israeliana verso la notizia. E questo preoccupa anche più delle linee di autobus separate. Qualche mese fa il quotidiano Haaretz pubblicò un sondaggio che mostrava come una percentuale di israeliani, ben più alta rispetto al passato, non è contraria a forme di segregazione per i palestinesi della Cisgiordania e anche a limitare i diritti politici degli arabi con cittadinanza israeliana.


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