“Boston, non è stata Al Qaeda” È ancora caccia agli attentatori

Loading

NEW YORK — «Un atto di terrore odioso e vigliacco. Ogni volta che le bombe bersagliano civili innocenti, è terrorismo». All’indomani dell’attentato alla maratona di Boston che ha fatto tre morti e 176 feriti Barack Obama torna a parlare all’America. Promette giustizia: «Chiunque lo abbia fatto, lo troveremo e risponderà  davanti ai nostri tribunali». Ma resta molto prudente sulla natura dell’attacco. «Non sappiamo chi lo ha fatto né perché, se sia stato pianificato da un’organizzazione straniera o nazionale, o da un individuo ostile». La pista estera non sembra la più probabile per gli inquirenti, la Casa Bianca lo precisa esplicitamente: «Non c’è alcuna indicazione che ci sia dietro Al Qaeda».
Ci deve essere una ragione se Obama non esclude la possibilità  del gesto individuale. E non è solo legata alla natura rudimentale delle bombe: pentole a pressione, riempite di esplosivo «ma non ad alta potenza», e di chiodi, frammenti metallici, pallini capaci di infliggere ferite atroci alla folla dei maratoneti e degli spettatori. «Due e solo due, gli ordigni ritrovati», precisa l’Fbi, smentendo le versioni circolate nelle prime ore sulla presenza di altre bombe inesplose. La natura artigianale di quegli ordigni nascosti in due zainetti, non esclude di per sé alcuna pista. Pentole a pressione furono usate nel 2006 negli attentati sui treni di Mumbai in India (130 morti); poi dal terrorista che lasciò un’autobomba a Times Square il primo maggio 2010; lo stesso anno le bombe nelle pentole a pressione fecero stragi in Pakistan. Le “istruzioni fai-da-te” per confezionare questi ordigni circolano su Internet, a disposizione di tutti.
La prima “pista estera” è già  sfumata: quella saudita si è rivelata poco una bufala, il giovane maratoneta arabo arrestato mentre fuggiva dopo l’esplosione è stato ascoltato dalla polizia solo come testimone, mai come un sospetto. Ieri invece la polizia ha lanciato un appello per ottenere informazioni su un “furgone noleggiato” che in alcuni filmati appare mentre cerca di accedere alla zona del traguardo della maratona, e su «un uomo incappucciato » che nei filmati si allontana da quell’area pochi istanti prima delle due esplosioni. Fbi e polizia locale chiedono a tutti – maratoneti, spettatori – di offrire le immagini prese con videocamere e telefonini.
«Una delle scene del crimine più complicate della nostra storia», così l’Fbi definisce la zona dell’attentato: per via dell’inusuale concentrazione di folla. Ma per la stessa ragione, l’evento sportivo è stato immortalato da una quantità  di smartphone e videocamere senza precedenti, la ricchezza di quelle immagini è una risorsa preziosa per le indagini. Nell’incertezza delle prime 24 ore – nessuna rivendicazione, nessun arresto – già  affiora una divaricazione ideologica sulle piste da seguire. A destra, il deputato repubblicano del Texas Michael McCaul (che presiede la commissione parlamentare sulla sicurezza interna), sottolinea la somiglianza degli ordigni di Boston con quelli usati contro le truppe americane in Iraq e in Afghanistan. A sinistra invece si sottolineano gli elementi simbolici che possono privilegiare la tesi del terrorismo di destra: la maratona di Boston coincideva con il Patriots Day caro al movimento anti-Stato e antitasse del Tea Party, e quest’anno coincideva anche con la scadenza per la dichiarazione dei redditi; inoltre questa edizione della maratona era stata dedicata ai bambini morti nella strage di Newtown (Connecticut), una sparatoria che ha innescato la campagna di Obama per le restrizioni sulle armi.
Un giro di vite sulla sicurezza è stato applicato in molti luoghi pubblici: dal metrò di New York ai principali edifici governativi, dai grandi eventi sportivi alle piazze più simboliche come Times Square. Ma Obama ha sottolineato che «l’America non si fa terrorizzare». Ho notato anch’io la differenza con altri momenti di allarme, perché ho preso un volo per rientrare negli Stati Uniti subito dopo la notizia delle esplosioni: i controlli nell’aeroporto di partenza e di arrivo erano di routine, nessun segno esteriore di una situazione eccezionale. E’ un’ulteriore conferma che la pista internazionale non viene privilegiata: in altri momenti di allarme dopo l’11 settembre 2001 erano proprio gli aeroporti i primi luoghi a registrare il massimo potenziamento della vigilanza. A Times Square dove ha sede l’ufficio di Repubblica, se si eccettua l’aggiunta di due mezzi speciali delle squadre di artificieri, il dispositivo di polizia è quello di sempre. Più che sulla paura Obama ha fatto leva sulla generosità , i nervi saldi: «Ciò che il mondo intero ha visto ieri dopo l’esplosione sono state storie di eroismo, di generosità  e di amore».
Resta il fatto che l’attacco a Boston interrompe un decennio in cui l’America era stata praticamente immune da attentati terroristici sul suo territorio, se si eccettua la strage di Fort Hood avvenuta il 5 novembre 2009 all’interno di una caserma militare ad opera di un maggiore di religione islamica simpatizzante di Al Qaeda. Gli altri pericoli, nel Natale 2009 sul volo Amsterdam-Detroit e nel 2010 a Times Square, erano stati sventati attraverso la prevenzione. Stavolta non ha funzionato, malgrado il pattugliamento del percorso della maratona da parte di cani addestrati a fiutare gli esplosivi.


Related Articles

Un assassino di nome Omar nato e cresciuto in Danimarca La polizia lo conosceva bene

Loading

La prudenza della polizia danese, ispirata forse al precedente di Parigi, lascia sgocciolare informazioni parziali

La scia di sangue

Loading

Bruxelles. Ancora una volta nel mirino della guerra asimmetrica del terrore jihadista, finiscono i civili, ridotti a bersagli insanguinati

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment