La proposta anti rimborsi ai partiti fa litigare i Democratici

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ROMA — In un mondo che corre «a velocità  doppia» stare fermi è una follia e così Matteo Renzi accelera, parla a Firenze e, pur senza nominare Bersani, fa a pezzi la linea del segretario: «Viviamo in una situazione politico-istituzionale in cui stiamo perdendo tempo». Un solo concetto, che piomba sul vertice del Pd come una dichiarazione di guerra. Anche per il tempismo (ritenuto sospetto) di una iniziativa parlamentare sul finanziamento pubblico che ha riacceso lo scontro tra bersaniani e renziani, rendendo evidente come il sindaco punti a rientrare in gioco da candidato premier. «È un’ipotesi che si fa…», ammette Alessandra Moretti, già  portavoce di Bersani.
Con Renzi alle costole il segretario è costretto a muoversi. Chiama Mario Monti e fissa per oggi un appuntamento a Palazzo Chigi, tratta per incontrare Berlusconi e cerca agganci sperando in un faccia a faccia con Grillo: quasi un nuovo giro di consultazioni per cercare un accordo «largo» sul capo dello Stato e provare a tenere il partito.
Proprio ieri i senatori vicini al sindaco hanno depositato una proposta di legge per abrogare «interamente» il rimborso elettorale ai partiti. Dieci le firme, da Andrea Marcucci a Mario Morgoni, che chiedono di «studiare meccanismi alternativi che prevedano il contributo diretto dei cittadini». È il cavallo di battaglia di Renzi e i suoi parlamentari cercheranno un sostegno trasversale, il che allarma i bersaniani. La replica della segreteria è brusca. Il primo stop arriva dal tesoriere Antonio Misiani: «È una iniziativa legittima, che non riflette la linea del segretario Bersani. Ne verranno altre e ne discuteremo nel partito». Dove quel «discuteremo» è stato letto dai renziani come la minaccia di una conta dolorosa. «Stiamo facendo quello che detta il presidente della Repubblica — rincara Gianclaudio Bressa —. Il finanziamento pubblico? È necessario». Che il clima non sia fraterno lo conferma Stefano Fassina quando dice che «i renziani ogni tanto si dimenticano di appartenere allo stesso partito». Sembra che Bersani non voglia riunire la Direzione se non dopo l’elezione del presidente della Repubblica, ma i renziani scalpitano e chiedono di «cambiare rotta» per un «governo di scopo» con il Pdl.
Si dice che Luca Lotti, braccio destro del sindaco in Parlamento, stia faticando non poco a placare i bollenti spiriti di diversi deputati, che ragionano ad alta voce di ipotetiche «rotture» e di una futuribile «lista Renzi». Il ritorno in scena del sindaco rischia di saldare il fronte di quanti faticano a riconoscersi nella linea di un «governo del cambiamento» guidato dal segretario. Un fronte ampio, al quale vanno via via approdando veltroniani, dalemiani, lettiani, franceschiniani… «Renzi ha ragione — si smarca il lettiano Francesco Boccia —. O si firma un armistizio collettivo per un esecutivo credibile, o si va al voto subito. È come se fossimo inchiodati alla notte del 25 febbraio…». La spaccatura è così evidente che a sera Enrico Letta tenta la mediazione: «Ha ragione Renzi», ma i colpevoli dello stallo sono Pdl e 5 Stelle «perché hanno bloccato il tentativo di Bersani». La guerra è appena iniziata e Beppe Fioroni prova a placare gli animi: «La vera innovazione è eleggere un capo dello Stato condiviso, perché una divisione innescherebbe il big bang, anche nel Pd».
Monica Guerzoni


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