«Lo spirito punitivo è sotto gli occhi di tutti»

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ROMA — «Sarebbe una discriminazione politica», confidava prima che il Consiglio superiore della magistratura facesse la sua scelta. Poi, a decisione presa (ufficiale ma non ancora definitiva), Antonio Ingroia si fa prudente: «Sono stupito, anzi sconcertato, ma aspetto di conoscere le motivazioni», dice come se dovesse commentare una sentenza. E per molti versi l’ex procuratore aggiunto di Palermo vive così il rifiuto di mandarlo a guidare la società  che riscuote le tasse in Sicilia. Una punizione? «Lo spirito punitivo è sotto gli occhi di tutti». Per via delle sue scelte politiche? O forse dell’inchiesta sulla trattativa tra lo Stato e Cosa nostra? «Prima di rispondere attendo che si concluda l’iter di questa decisione», si barrica.
Ma che Ingroia consideri il «no» del Csm una ritorsione per l’inedita candidatura a premier in sostanziale continuità  con il precedente lavoro di pubblico ministero, o per quell’indagine che ha provocato forti polemiche politiche e istituzionali, è abbastanza evidente. Anche se pubblicamente si limita ad argomentare che «l’approccio burocratico e punitivo» del Csm non si rivolge tanto alla sua persona quanto alla professionalità  mortificata: «Dimostrano un palese disprezzo per l’esperienza maturata in oltre vent’anni di indagini antimafia, alcune delle quali molto importante, complesse e delicate».
In realtà  al palazzo dei Marescialli, sede del Csm, molti la pensano al contrario: è stato Ingroia a mostrare un certo disprezzo delle istituzioni, e comunque a prendersene gioco. Prima facendosi trasferire in Guatemala dov’è rimasto appena due mesi dopo tanti rinvii, poi candidandosi a premier, infine chiedendo un incarico extra-giudiziario che nulla ha a che vedere con la figura di magistrato, in attesa delle prossime elezioni e continuando a svolgere il ruolo di leader politico. Ma lui, imperturbabile, ribatte: «Io non mi sono preso gioco di nessuno. L’incarico in Guatemala è stato regolarmente autorizzato, dopodiché ho esercitato un mio diritto costituzionale: non sono stato io a provocare le elezioni anticipate. E adesso chiedo solo di poter essere ancora utile alla collettività , anziché fare il pensionato di lusso».
Già , perché il nodo — dal punto di vista dell’ex procuratore — è proprio questo: l’incarico di giudice in soprannumero ad Aosta equivale a una sorta di prepensionamento, mentre lui era pronto a mettere a disposizione la sua esperienza di magistrato antimafia per risanare un ente «più che chiacchierato». La società  «Riscossione Sicilia», per l’appunto. Peccato che il Csm, sulla base di alcuni precedenti, non abbia ravvisato in quell’incarico nessun «interesse dell’amministrazione della giustizia». A sentire questa motivazione, Ingroia non riesce a trattenere una risatina: «Se non è interesse della giustizia mettere ordine in una struttura sulla quale in passato si sono allungate le mani della mafia e di cricche di ogni genere, mi domando quale sia l’interesse della giustizia. Capirei se l’alternativa fosse un posto dove effettivamente potessi lavorare, ma non uno che non c’è al tribunale di Aosta».
Le possibilità , sostiene l’interessato, c’erano. Per esempio un posto vacante alla Procura nazionale antimafia, che non avrebbe posto problemi di incompatibilità  con la candidatura politica, «visto che l’ex superprocuratore Grasso s’è presentato a Roma nelle liste del Pd e nessuno ha avuto da ridire». L’ex pm, però, non ha chiesto quel posto: «Credo che dovrebbe essere un obbligo del Csm, e non un mio onere, valorizzare la mia professionalità . Hanno fatto un’altra scelta, che per ora definirei stupefacente e bizzarra». Anzi, «istituzionalmente stravagante, visto che tanti magistrati sono stati lasciati per anni fuori ruolo, negli incarichi più disparati. Quando si tratta di Ingroia, invece, improvvisamente si diventa inflessibili».
Forse perché dentro al Csm ritengono che Ingroia abbia tirato troppo la corda. Prima da magistrato che mentre conduceva le inchieste partecipava al dibattito politico, e poi da politico che chiede di rientrare in magistratura mentre continua a tessere le fila di un movimento che intende rifondare ma non abbandonare a se stesso; sono di appena tre giorni fa le dichiarazioni di giubilo per la vittoria del senatore i Ignazio Marino alle elezioni primarie del Pd per la corsa a sindaco di Roma: «È un evento che deve segnare una svolta progressista per tutto il centrosinistra», ha esultato. Magari c’è chi pensa che in fondo a questa strada l’unico sbocco siano le dimissioni dalla magistratura; anche Ingroia ha ben presente questa prospettiva. E mormora, per ora a denti stretti: «Significherebbe che chi ha indagato sulle collusioni tra Stato e mafia non può restare in magistratura».
Giovanni Bianconi


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