«Passerà …». Ma invece non passa Il giorno degli equivoci (e dei veleni)

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«In Piazza Dalmazia a inaugurare il nuovo fontanello!». Mentre il Parlamento s’incendia intorno a Franco Marini, quel Matteo Renzi che accese il primo cerino invia ai fiorentini un tweet leggiadro: per spegnere le fiamme nel Pd l’acqua di quel fontanello non basterà  di sicuro. Sarà  anche uno scenario della Terza Repubblica, quello cui si assiste a Montecitorio nell’afa di un aprile di colpo surriscaldato, ma certo assomiglia maledettamente alla Prima.
Uno psicodramma collettivo di sfoghi e risate isteriche, di veleni e depressioni come non si vedeva da anni. Tutto intorno al tormentone: chi ha tradito chi? È stato Pier Luigi Bersani che dopo aver garantito che avrebbe smacchiato il giaguaro è andato a mettersi d’accordo col Cavaliere su un nome condiviso fino a farsi fotografare abbracciato ad Angelino Alfano (fuori campo di un «piddino» anonimo: «stanno a fa’ Thelma e Louise…») o sono stati i ribelli che si sottraggono alla responsabilità  di un voto a maggioranza?
«Siamo qui convenuti per assistere al congresso del Partito democratico», ammicca malizioso il governatore veneto Luca Zaia. «Se va avanti così i franchi tiratori risulteranno quelli che hanno votato per Marini», ride Maurizio Gasparri. Soddisfatto per la spaccatura nella sinistra? Risposta dorotea: «Col senso di responsabilità  dovuto in momenti come questo non c’è da rallegrarsi se un grande partito è tormentato da travagli…» Poi si attacca al cellulare e twitta: «Tra poco spuntano pure quelli che sostengono Rosa Luxemburg o i picconatori dei nemici di Stalin. Pd caos palla al piede per l’Italia».
La mattina, durante la chiama, Rocco Buttiglione dice che no, lui non ha dubbi sul voto a Franco Marini. Ma «Scintillone» non aveva detto la famosa frase «verso Buttiglione c’è del rancore. Ce l’ha fatta troppo grossa. Ci ha espulso tutti. Anche me, non solo Andreatta. C’è un profondissimo fossato tra noi»? «Sono passati vent’anni! Andreotti diceva che in politica non c’è posto per i sentimenti, figurarsi i risentimenti!».
Per questo, prima dello spoglio pomeridiano che rivelerà  la consistenza non solo dei ribelli dichiarati ma di un gran numero di «malpancisti» e franchi tiratori, un altro dicì di lungo corso, Gianfranco Rotondi, giura: «Marini vince sicuro. Non ha nemici. Questa è la sua forza. Pensi che a me ha fatto fare pace pure con Prodi. Mi era rimasta appesa una querela che Romano mi aveva fatto per una battuta infelice. Franco mi chiamò e mi disse: ma come, Gianfra’, una querela fra democristiani! È fatto così: un pacificatore». Il Cavaliere intercettato mentre fila via conferma. «Passerà  Marini, presidente?» «Passerà ».
Beppe Fioroni, ministro della Pubblica istruzione con Prodi, molto vicino all’ex presidente del Senato, rivela che l’uomo scelto da Bersani, Monti, Berlusconi e Maroni («È un uomo del popolo, un uomo del lavoro») ha tutte le caratteristiche per piacere agli italiani: «È così legato alla sua terra che stamattina ci siamo sentiti perché voleva sapere se eravamo in grado di sbloccare dei finanziamenti al municipio di San Pio delle Camere. Capito? Qui tutti in fibrillazione e lui pensa al suo paese natale…». E se non dovesse passare? «Dipende. Se fosse solo una faccenda di franchi tiratori, amen. Ma se ci fosse una questione politica, non credo che Franco sia il tipo da farsi rosolare. Quello prende il telefono e detta due righe alle agenzie per chiuderla lì».
Che non sia solo una faccenda di franchi tiratori diventa chiaro in fretta di prima mattina. Flash d’agenzia: «Il pd Pippo Civati : “voterò Rodotà “». Altro flash: «Non ho nulla contro Marini, ma questa candidatura è un errore che divide il Pd e il centrosinistra», è questo il commento del presidente degli Eco-dem Fabrizio Vigni. Un altro: «Renziani per scheda bianca ma alcuni voteranno Rodotà ». Perfino l’ex presidente della provincia dell’Aquila Stefania Pezzopane, che entrò nelle case degli italiani con quella foto che la vedeva piccolina accanto all’altissimo Barack Obama ed è finita in Senato proprio al posto di Marini che le cedette la posizione di capolista, confida a Twitter: «Ho votato Rodotà  secondo la mia coscienza, non potevo tradire la mia gente. Stima e rispetto per Marini ma è necessario un cambiamento vero».
E via così. Una grandinata di distinguo, precisazioni, dissociazioni, mal di testa… Come se quel partito che solo pochi mesi fa, dopo le primarie, pareva essere destinato a navigare serenamente verso una larga vittoria elettorale fosse ormai ridotto a una nave sbattuta tra i flutti dove la ciurma angosciata non si riconosce più nel nocchiero.
Nichi Vendola racconta che lui, Bersani, l’aveva messo in guardia: «Gli ho detto: “Pier Luigi, su Marini sbagli. Questa ribellione è politica”. Dice: “No, sono solo insulti su Twitter”. Ma che insulti! Non vi rendete conto che alla nostra gente non potete proporre un uomo perbene ma che rappresenta tutta un’altra stagione? Nicola Latorre mi ha raccontato che sua moglie è stata assalita perfino dai bidelli che non riescono a rassegnarsi all’idea che la sinistra non riesca a trovare, neppure in un momento come questo, uno scatto di fantasia, di creatività , di innovazione vera».
Per carità , il nome non c’entra. Anzi, non c’è capannello destrorso o sinistrorso, montiano o grillino, dove non si senta riaffermare la stessa cosa: che Marini «è una persona perbene», che Marini «per il suo rapporto con la gente semplice potrebbe essere un nuovo Pertini amato dai cittadini», che Marini «è un uomo d’equilibrio e Dio sa se ne abbiamo bisogno»… «Io posso anche capire che venga scelto un vecchio saggio per portare la pace», sospira Benedetto Della Vedova, «ciò che non capisco è come Bersani non si sia reso conto che il suo era un nome che avrebbe fatto scoppiare la rissa dentro il suo stesso partito. Non ci parla coi suoi? Al limite potevo non saperlo io, ma lui!».
Lo spoglio dei voti, nel primissimo pomeriggio, porta la conferma del clamoroso tracollo del candidato scelto con quel patto di vertice liquidato da Beppe Grillo come «un inciucio». Accasciata su un divano, Laura Puppato rilegge in solitudine i messaggini inviati fino all’ultimo a Bersani per convincerlo che quel cavallo era sbagliato: «La nostra gente non poteva capire. Non c’era modo di spiegargliela, una scelta così. Dovevamo proporre un nome che segnasse una svolta. Una donna, magari». Ilaria Capua, la nostra ricercatrice più celebre, sospira di essersi «quasi quasi pentita di aver accettato di fare la parlamentare: speravo di poter essere utile, ma per ora…». Il governatore ligure Claudio Burlando scappa via furibondo: «Era già  tutto chiaro ieri sera, all’assemblea degli eletti. I numeri dicevano tutto. Era chiaro che ci saremmo spaccati. Io ho proposto: lasciamo perdere, chiamiamo Marini per dirgli di rinunciare così da evitargli un’umiliazione. Macché». Giorgio Airaudo, candidato da Sel come simbolo del sindacalismo duro e puro della Fiom, scrolla il testone di capelli bianchi: «Lo sanno anche i ragazzi delle superiori che alle assemblee puoi chiedere la conta solo se sei assolutamente certo di stravincere, sennò mai».
E tutti lì, a tormentarsi sull’immagine da incubo offerta al Paese e a chiedersi che cosa sarebbe stato meglio fare e interrogarsi su come mai il partito non riesce più a capire gli umori della base e a immalinconirsi sulla foto diffusa dalle agenzie di quella iscritta che brucia la tessera e a sospirare su ciò che avrebbe potuto essere non è stato. Era meglio accaparrarsi al primo cenno il nome di Rodotà ? Era meglio giocarsela su Romano Prodi, l’unico in grado di contattare quello che fu L’Ulivo? Era meglio puntare su una cosa diversa?
«La verità  è che avremmo potuto proporre anche Churchill ma sempre così le cose sarebbero andate», risponde Gianclaudio Bressa, «poi, certo la tattica parlamentare avrebbe potuto essere diversa, ma il guaio non è questo: è che siamo spaccati al nostro interno da una faglia di cui non si vede il fondo».
E meno male che dal voto, che nel pomeriggio si ripeterà  inutilmente con quelle schede bianche che segnalano l’impotenza, è uscito almeno lo spunto per un sorriso. Come la preferenza data al conte Raffaello Mascetti, il personaggio reso immortale in Amici miei da Ugo Tognazzi per quella battuta entrata nella leggenda: «Tarapìa tapiòco! Prematurata la supercazzola, o scherziamo?»


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