Pd, guerra renziani-Unità  E Barca lancia la sua sfida

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ROMA — Matteo Renzi e Fabrizio Barca. Il sindaco e il ministro. Sono loro il futuro prossimo del Pd e la giornata di ieri lo ha confermato, prefigurando un duello (o un ticket?) che sta ridisegnando la geografia interna del partito. Il responsabile della Coesione territoriale è uscito allo scoperto confermando la voglia di impegnarsi per rilanciare il centrosinistra. «Il Pd è l’unico partito del cambiamento che c’è in Italia, il partito a cui una persona di sinistra come me guarda», ha detto alla tv del Fatto quotidiano. E se non è una discesa in campo, pochissimo ci manca.
La stima che Pier Luigi Bersani nutre per Barca è nota, ma il tempismo della sua uscita non è piaciuto al Nazareno. Nello staff del leader sottolineano come il ministro non sia iscritto al Pd e dunque, per ora, non possa candidarsi né alla leadership, né alla premiership: «Se poi preferisce fare il papa straniero…».
Il segretario lavora all’incontro con Berlusconi in vista dell’elezione del nuovo capo dello Stato e dunque del governo, un faccia a faccia strategico che potrebbe tenersi venerdì. Ma intanto la battaglia congressuale è iniziata. Matteo Orfini, intervistato dal Manifesto, ha proposto esplicitamente la riunificazione della sinistra e molti ritengono che, se mai la Sel di Vendola dovesse traslocare armi e bagagli dentro il Pd, Barca sarebbe il candidato naturale alla guida del nuovo partito. «Non ci può essere un buon governo senza la ricostruzione di un partito che incalzi lo Stato e ricompatti la società » è il progetto del ministro, che sta lavorando a un suo manifesto politico: «È ora di ricostruire un partito che metta fine alla guerra tra Orazi e Curiazi». Basta con la spaccatura fra «renziani e vecchia guardia», serve «un’operazione di squadra».
Dopo l’intervista di Renzi al Corriere i democratici hanno i nervi a fior di pelle, la sintesi che L’Unità  ne ha offerto in prima pagina ha innescato un nuovo casus belli. «No di Renzi al governo Bersani» strillava ieri il quotidiano fondato da Gramsci, un titolo che ha irritato non poco il primo cittadino di Firenze. «Messa così sembra che boicotto il segretario», avrebbe detto il sindaco ai suoi.
L’onorevole Matteo Richetti ha chiesto le dimissioni del direttore, Claudio Sardo e, a stretto giro, diversi parlamentari renziani, tra cui Ernesto Carbone, sono intervenuti per rafforzare il concetto. «Ricomincia la vergognosa propaganda dell’Unità  e di Youdem contro Matteo Renzi — attacca Roberto Reggi —. Matteo non ha parlato di governissimo, ma di un patto costituente di 6 mesi da cui far nascere la Terza Repubblica».
Finché Sardo ha telefonato a Richetti per un chiarimento, ha lanciato un editoriale online e, a sera, mandato in stampa un commento in edicola oggi. «Magari la mia sintesi è stata brutale — spiega il direttore — ma ho detto la verità . Non avevo alcuna intenzione polemica. Ritengo però un infortunio l’idea che, se non condividi un titolo, chiedi le dimissioni del direttore». Nella «cordiale telefonata» Richetti si è scusato con Sardo per i toni, ma i bersaniani chiamano in causa la libertà  di stampa e il portavoce del leader, Stefano Di Traglia, scolpisce un analogo concetto su Twitter: «Chiedere le dimissioni di un direttore perché non si concorda con un titolo è un atto grave. Sì a critiche, no a censure».
Richetti ha smentito il rischio di una scissione della componente renziana e lo stesso Matteo, che pure scalpita per andare al voto, rassicura: «Uscire e farsi un partito non ha senso, perché ce ne sono già  troppi». Parole che però non hanno placato gli animi dei bersaniani. A preoccupare la sinistra, oltre ai sondaggi che premiano l’ex sfidante delle primarie con il 36 per cento, è anche l’intesa tra il sindaco e Veltroni, che qualche giorno fa si sono visti riservatamente.


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