Sottomarini, raid e la Bomba Le carte (e i bluff) di Kim

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WASHINGTON — La notizia è stata lanciata ieri notte dai media a Seul. Da qualche giorno si sono perse le tracce di due sottomarini nordcoreani. I «cacciatori» sono usciti da una base nella provincia di Hwanghae, poi hanno preso in largo sottraendosi al controllo degli avversari. Le due unità  devono lanciare un’operazione a sorpresa nei prossimi giorni? Nessuno lo sa. Forse si tratta di un’attività  non collegata al confronto in atto. Anche a febbraio — in concomitanza con un periodo di tensione — erano «svaniti» ben otto battelli. Grande allarme seguito dal nulla.
Tutti episodi che si gonfiano e si sgonfiano, legati anche alle incertezze sulla consistenza dell’arsenale del Nord. Robusto sulla carta, forte del suo milione di baionette, da verificare sul terreno. C’è sempre la paura di non capire. Pur consapevoli della magre risorse del regime non si è sicuri che l’intelligence abbia le lenti bene a fuoco su quanto avviene a Pyongyang. E i dubbi sono ancora più estesi quando ci si interroga sulle possibili manovre dell’enigmatico Kim Jong-un. Cosa potrebbe inventarsi?
I missili
Il regime ha costruito nel corso degli anni diversi ordigni. E foto recenti hanno mostrato il dittatore davanti a mappe con obiettivi negli Usa. Possono arrivarci? In dicembre hanno lanciato un vettore «Unha» che dovrebbe avere un raggio di 10 mila chilometri e dunque capace di arrivare fino alla costa Ovest americana. La prova è però fallita miseramente. I tecnici sono riusciti a rimediare ai guai tecnici? La domanda non ha risposte precise. I generali potrebbero poi affidarsi al missile KN-08 (6 mila chilometri) mostrato in parata nell’aprile di un anno fa. Altri dubbi: analisti sostengono che quello esibito è finto, una copia inerte. Un gradino più sotto c’è il Musudan (3 mila chilometri), un sistema mobile, con il quale colpire le basi Usa in Giappone o Guam. Quindi seguono missili in grado di minacciare siti nel Sud e sul territorio giapponese. La stessa Seul è a tiro di Scud, ordigno obsoleto che però può avere un uso «politico». Per le stesse ragioni — dicono adesso — Kim potrebbe accontentarsi di un lancio dimostrativo sul mare. Ha gonfiato i muscoli, ha creato un po’ di apprensione e non ha perso la faccia dopo tanta retorica.
L’incidente
Per creare l’incidente non è necessario raggiungere l’Alaska, basta bombardare — come ha già  fatto — uno degli isolotti sudcoreani. Kim si è fatto riprendere mentre visitava una postazione di artiglieria con i cannoni pronti all’uso. Di nuovo, non parliamo di «guerra mondiale» ma di gesti dimostrativi che hanno comunque un impatto. Rientra in questo scenario il ricorso a mine navali e sottomarini: il regime sembra spesso seguire un copione e lì c’è «scritto» che nel marzo 2010 ha affondato la Cheonan, unità  militare del Sud colata a picco con 46 marinai. Missione che ricorda le sortite lanciate da nonno e padre del dittatore, quando mandavano minisub a infiltrarsi in acque nemiche per spiare o sbarcare commandos. Senza tralasciare l’opzione terrorismo: nell’83, a Rangoon (Birmania), gli 007 hanno organizzato un attentato contro una delegazione del Sud e quattro anni dopo agenti nordcoreani hanno distrutto un jet passeggeri del Sud, 115 vittime. Nel mezzo di operazioni convenzionali potrebbe anche starci uno strike usando Internet, visto che la cyber-guerra è tra le frecce a disposizione.
Il nucleare
Gli ultimi bollettini bellici di Pyongyang hanno parlato di possibile «attacco nucleare» contro gli Usa. Certo, la Corea del Nord ha testato il suo ordigno, ma gli osservatori hanno non poche riserve sulla possibilità  che siano riusciti a trasformarlo in una testata atomica per missili. E poi aggiungono un concetto rilanciato fino alla noia: il regime sa bene che un’azione nucleare provocherebbe una ritorsione massiccia che segnerebbe la sua fine. Dunque agitano lo spauracchio dell’Apocalisse — è la tesi — ma non hanno alcuna intenzione di provocarla.
Guido Olimpio


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