Lo sfogo del Cavaliere: un obbrobrio Sentenza uguale anche nelle virgole

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ROMA — L’hanno deciso a pranzo: nessuna dichiarazione ufficiale, nessuno sfogo a caldo del Cavaliere nel post sentenza. Una sentenza attesa, questo dicono tutti ora, ma non per questo meno devastante per Silvio Berlusconi. Che si sente totalmente innocente, e terribilmente perseguitato da chi «da vent’anni ha un solo obiettivo: eliminarmi».
Gli hanno consigliato il silenzio i suoi. I falchi e le colombe. E lui non si è fatto pregare: «Nessuna dichiarazione da parte dei ministri, teniamo il governo fuori da tutto questo. Protesti il partito, faccia sentire la nostra voce su questo scandalo, ma teniamo separati i piani. Il governo lo giudicheremo su tutto il resto, sui provvedimenti, e non faremo sconti». E così si è organizzata la controffensiva: attacchi a testa bassa ai giudici, ma senza coinvolgere il governo nella questione, perché «i piani vanno tenuti separati». Linea rispettata da quasi tutti in un Pdl che sapeva già  come muoversi. Non a caso, il primo a scendere in campo un secondo dopo la lettura della sentenza è stato Luca D’Alessandro, segretario in commissione Giustizia, già  capo dell’ufficio stampa del partito e braccio destro di Verdini, durissimo: «Reagiremo alla follia degli ultimi giapponesi». Dopo di lui, praticamente tutto il Pdl ha inveito contro magistrati «politicizzati» autori di un «obbrobrio» giudiziario, di una infinita «persecuzione».
Berlusconi, chiuso nel suo studio di Palazzo Grazioli, si è morso la lingua, consapevole che le sue parole, quelle di un fiume in piena, avrebbero potuto avere come reazione l’immediato contraccolpo forse decisivo sul governo. Perché se è vero che ieri, come in tante altre occasioni, ha definito «un cancro» quello rappresentato da certa magistratura, un «complotto» di sinistra e giudici quello contro di lui, la reazione del Pd sarebbe potuta essere tale da provocare incidenti forse insanabili per il fragile equilibrio del governo. Un Pd per ora cauto, come «da accordi — rivela un ex ministro —: ci avevano detto in sede di trattative che, se ci fossimo messi d’accordo, non avrebbero sparato contro le sentenze, ma in caso contrario…».
E dunque oggi non è ancora il momento di dar fuoco alle polveri. Ma chi ha parlato con il Cavaliere lo ha sentito «distrutto» per una sentenza che ora i suoi legali definiscono «scontata e già  scritta», ma che in verità  lui si attendeva diversa: «Non dico l’assoluzione, non sarebbero mai arrivati a tanto. Ma aver ribadito anche nelle virgole la sentenza di primo grado, senza nemmeno qualche mese di sconto di pena, e soprattutto aver riconfermato quella vergogna dell’interdizione dai pubblici uffici per me è intollerabile, insopportabile. E può avere effetti molto gravi».
Anche perché, forse, il peggio deve ancora venire. Perché nel Pdl c’è la convinzione che tra una o due settimane, quando anche il processo Ruby andrà  a sentenza, la «vergogna» si ripeterà : «Ci sarà  un’altra condanna, è già  scritto», è il coro. E che farà  allora la sinistra? Come reagirà  alle sirene della piazza e dei grillini? E dunque anche chi descrive un Berlusconi fondamentalmente fiducioso sull’esito che i processi potrebbero avere in Cassazione, dove ha voluto nel suo collegio l’esperto avvocato Coppi, non è detto che siano confermate dai fatti che verranno. Perché è vero che si può perfino cercare di adottare una linea di dilazione delle udienze tanto da arrivare alla prescrizione, ma la strada è rischiosissima. Per questo oggi nel Pdl a prevalere è una grande preoccupazione. «Berlusconi sta dando prova di grande responsabilità  separando le sue vicende processuali dalla vita del governo», dice il suo portavoce Bonaiuti assicurando che per il momento non ci saranno contraccolpi sull’esecutivo. Ma su quello che accadrà  nel prossimo futuro nessuno se la sente di assicurare alcunché.
Se infatti l’area delle «colombe» del partito è molto decisa nello scandire, come fa Mara Carfagna, che «l’attacco dei giudici è fallito», e che il governo va avanti, l’atra area, quella dei falchi, con la Santanchè, con Minzolini avverte che è in atto proprio il tentativo da parte dei giudici di far saltare il governo delle larghe intese, e che da Pd dovrebbero arrivare segnali di presa di distanza se si vuole evitare il patatrac.
Tra le due linee, c’è tutto il Berlusconi di ieri sera: c’è la sua testa, che gli consiglia prudenza e nervi saldi e gli fa tenere ferma la barra. Ma c’è anche la sua pancia, quella — dice un suo fedelissimo — che «non gli farà  mai accettare un’uscita di scena alla chetichella, con qualche trattativa sulle sue aziende e l’umiliazione dell’interdizione dai pubblici uffici». Lui, dicono in coro i suoi, resta «un grande lottatore, uno che se deve morire lo fa sul campo». L’unico, comunque, che sa davvero come andrà  a finire questa storia.


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