Pakistan la democrazia riluttante

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LAHORE. Il Pakistan sta per affrontare le elezioni più importanti della sua storia, tali da decidere il futuro di questa nazione intrisa di sangue, assediata da molteplici insurrezioni e da un estremismo islamico per molti aspetti addirittura più grave di quello presente in Afghanistan. L’11 maggio la popolazione eleggerà  un nuovo parlamento e un nuovo governo, incaricati di evitare che il Pakistan scivoli nella categoria degli Stati falliti. E anche se ci sono molti attacchi terroristi, tra i giovani ci sono un enorme entusiasmo e ungrande senso di partecipazione.
Il mese scorso, settanta fra candidati, loro familiari o loro sostenitori sono stati uccisi in un’ondata di attentati compiuti dai Taliban pachistani con kamikaze, autobombe, attentatori suicidi e omicidi. Altre 300 persone sono rimaste ferite. Il 3 maggio, il procuratore capo del Paese è stato ucciso in pieno giorno nella sua macchina nella capitale.
I Taliban pachistani — che sono distinti da quelli afgani — hanno giurato di costringere il governo a cancellare le elezioni, che considerano non islamiche. Progettano di rovesciare lo Stato e nel frattempo hanno preso di mira tre partiti che considerano esplicitamente liberali e laici. Uno è il Partito popolare pachistano che ha guidato il governo negli ultimi cinque anni, a capo del quale c’è il presidente Asif Ali Zardari, marito di Benazir Bhutto, assassinata lei stessa dai Taliban nel 2008. A causa degli incessanti attacchi e della carenza di leader, i candidati del Ppp vivono nascosti e virtualmente invisibili, pur facendo campagna elettorale.
I Taliban ormai controllano ampie fasce del Pakistan nordoccidentale, in buona parte abitato dai Pashtun, lo stesso gruppo etnico che vive in Afghanistan e dal quale sono emersi i Taliban su entrambi i versanti della frontiera. Peshawar, il capoluogo della provincia di Khyber Pakthunkhwa, è praticamente sotto assedio. L’esercito combatte i Taliban in una valle a poche miglia dalla città  e ha subito perdite pesanti cercando di respingerli. I Taliban hanno anche ucciso molti leader di spicco del partito nazionale anti-Taliban Awami e decine di altri candidati.
Tuttavia, il Paese è paralizzato anche da altre insurrezioni.
Nella provincia del Baluchistan i separatisti baluchi hanno dichiarato che uccideranno qualsiasi politico locale che si presenterà  alle elezioni e hanno già  colpito numerosi candidati di primo piano. I separatisti vogliono l’indipendenza della provincia dal Pakistan. A Karachi, una città  di 20 milioni di abitanti, il centro economico del Paese e melting-pot etnico, è in corso una guerra civile su più fronti che vede coinvolti Taliban, separatisti baluchi, altri gruppi etnici armati e gang mafiose.
Intanto l’economia è sull’orlo del baratro: il Paese è vicino al default per i prestiti esteri e il suo indebitamento, con riserve di valuta straniera di appena sei miliardi di dollari, pari a sei settimane di importazioni. È indispensabile che si formi quanto prima un nuovo governo, in grado di chiedere al Fondo monetario internazionale un cospicuo piano di salvataggio. L’elettricità  manca per anche 16 ore al giorno, le riserve di gas sono ai minimi, il costo del petrolio è a livelli astronomici e tutto ciò ha portato alla chiusura di molte fabbriche e all’impennata della disoccupazione giovanile.
Ecco perché queste elezioni sono cruciali. Dato che il Ppp negli ultimi cinque anni è stato impegnato a fare guai e a guadagnarsi il disprezzo generale per la sua incompetenza e la massiccia corruzione, la popolazione ora spera che prevalga uno degli altri due partiti.
Il più forte è la Lega musulmana pachistana all’opposizione, guidata dai fratelli Nawaz e Shabaz Sharif, che gode di enorme popolarità  nella provincia del Punjab, la più vasta, governata fino a poco tempo fa da Shabaz Sharif. Il partito è in grado di offrire un miglior governo al Paese ed è anche “business friendly”, ma è anche troppo vicino ai gruppi militanti islamici, che di proposito non hanno preso di mira i raduni elettorali nel Punjab.
In rapida rimonta è il nuovo partito guidato dall’ex giocatore di cricket Imran Khan, che si appella ai giovani, pari al 30 per cento dell’elettorato. Imran Khan promette un rinnovamento completo del sistema di governo e dedica grande attenzione allo sviluppo e all’istruzione. Promette la fine delle politiche feudali e dinastiche delle famiglie Bhutto e Sharif, ma nutre anche lui simpatie per i Taliban e ha idee estremamente reazionarie per ciò che concerne le donne, le minoranze non musulmane e la giustizia islamica. Benché occidentalizzato e un tempo sposato con un’ereditiera britannica, Khan è molto anti-americano e anti-occidentale e dà  agli Stati Uniti e all’Occidente in generale la colpa di molti dei mali del Pakistan. Per qualche ora ieri la sua rimonta è sembrata a rischio: Khan è stato ricoverato dopo una caduta di cinque metri dal montacarichi che lo portava sul palco dove avrebbe dovuto tenere un comizio a Lahore. Ferito alla testa, ha fatto tremare i suoi sostenitori: ma le ultime notizie ieri lo davano cosciente e fuori pericolo, tanto che si parla di un suo ritorno in scena nel giro di poche ore.
Facendo differenze tra i vari partiti politici, i Taliban hanno contribuito a creare profonde divisioni fra le forze democratiche. Così i partiti di Imran Khan e Nawaz Sharif, che non sono stati presi di mira dai Taliban, non hanno condannato apertamente l’uccisione dei loro colleghi dei partiti aggrediti. Sembra che tutti, in Pakistan, abbiano paura dei Taliban.
La confusione che Imran Khan trasmette sulla sua idea di Islam è lo specchio perfetto della crisi di un Paese dove le idee estremiste che emergono dai salotti della classe media come dalle aree tribali stanno entrando in conflitto diretto con i valori laici e liberali che la maggior parte dei pachistani coltiva da 60 anni. Adesso ci si uccide a vicenda per le interpretazioni dell’Islam, e ciò va a tutto vantaggio dei Taliban.
Molta di questa confusione è alimentata anche dal potente esercito e dai suoi servizi d’intelligence, che sin dagli anni Settanta hanno addestrato, finanziato e armato gli estremisti islamici perché combattessero nel Kashmir indiano e in Afghanistan. L’esercito, che ha governato il Paese quattro volte, prende ancora oggi tutte le decisioni più importanti di in materia di politica estera e crede in un dogma della sicurezza nazionale in virtù del quale l’India è l’eterno nemico. L’esercito non è più in grado di controllare i militanti che tra l’altro si stanno infiltrando nelle sue stesse fila.
Nonostante tutto, c’è ancora speranza che queste elezioni possano portare a un governo competente — molto verosimilmente una coalizione di vari partiti — in grado di comprendere la crisi del Paese e iniziare ad affrontare i suoi problemi. In ogni caso, saranno indispensabili cambiamenti radicali per allontanare il Pakistan dalla spirale discendente nella quale si trova adesso.
(Traduzione di Anna Bissanti )


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