D’Alema: se Renzi cresce, sarà leader

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ROMA — «Se a ottobre i saggi non avranno trovato un accordo per cambiare il Porcellum, io sono per fare una legge per tornare al Mattarellum, con chi ci sta». L’avvertimento arriva da Massimo D’Alema, intervistato da Lilli Gruber a Otto e mezzo. E quando la conduttrice gli fa notare che una simile mossa del Parlamento tirerebbe giù il governo, l’ex premier conferma il rischio: «Quagliariello ha detto che se fra quattro mesi i saggi non hanno una proposta è tanto meglio andare a casa e io condivido perfettamente…».
A Palazzo Chigi l’intervista non è passata inosservata, anche per i «consigli» che il già presidente del Pd ha offerto a Matteo Renzi, con il quale ha ripreso a parlarsi: «È una personalità fortissima, ha una grande forza di attrazione del consenso, ma se fossi nei suoi panni doserei meglio le mie forze, non starei tutti i giorni sui giornali…». Consiglio numero due: dotarsi di un profilo internazionale. Numero tre: approfondire i grandi temi della vita del Paese. «Ora Renzi è uno straordinario comunicatore, ma se fa crescere la sua statura potrebbe essere la guida del Paese e avremmo risolto il problema della leadership». Parole che, c’è da giurarci, i democratici analizzeranno con la lente d’ingrandimento, per capire se davvero si tratti di un «endorsement» o di un «trappolone». Il cuore del ragionamento dalemiano è che il Pd ha bisogno di un leader forte, ma anche di un gruppo dirigente autorevole e riconoscibile: «Io e Veltroni siamo stati sostanzialmente cacciati, ma non mi pare che la situazione sia migliorata in modo travolgente». Ruggini e vecchi rancori che rischiano di riaffiorare in vista del Congresso.
I bersaniani giurano che «nessuno vuole fregare Renzi». Ma ormai è chiaro che pochi fra i dirigenti siano disposti a consegnare il Pd, chiavi in mano, al sindaco di Firenze. La vittoria di Marino a Roma ha rafforzato Zingaretti e ora il presidente del Lazio medita seriamente di scendere in campo al Congresso, in chiave anti Renzi. «Sarebbe una candidatura di grande autorevolezza e prestigio», lo incoraggia Fioroni.
La battaglia delle regole sarà cruciale. Epifani ha convocato per lunedì la commissione congresso ed è già braccio di ferro su chi dovrà guidarla. Al Nazareno ritengono che il candidato naturale sia Nico Stumpo, l’ex responsabile dell’Organizzazione al quale Renzi non vuole affidare le regole del gioco perché «è un po’ come mettere Dracula in un centro Avis». E così i renziani, in asse con i dalemiani, provano a stopparlo proponendo che a presiedere il tavolo sia Roberto Gualtieri, eurodeputato autorevole molto vicino all’ex premier. «Qui non c’è nessuno che vuol fregare nessuno — assicura il bersaniano Davide Zoggia —. Siamo tutti della stessa squadra, regole e tempi del Congresso andranno bene a tutti». Eppure i renziani non sono tranquilli e scaldano i motori. Il 22 e 23 giugno si riuniranno a Torino per un workshop autofinanziato con i parlamentari più vicini al sindaco (Bonafè, Boschi, Giachetti…).
Gli avversari di Renzi, che a Roma ha visto il ministro Delrio, la leggono come una riunione di corrente e si preparano a contrastarlo. Prima mossa: separare da Statuto la figura del segretario da quella del candidato a Palazzo Chigi. Se Renzi è contrario, per Fioroni le due candidature «devono essere distinte». E Bersani è ancora più netto: «Combatterò strenuamente per evitare che il Pd scivoli su un modello personalistico. Non si può scimmiottare chi fa il pifferaio e parla solo in base ai sondaggi».


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Si sono abbracciati e ora sono seduti vicini, ad ascoltare Epifani. Renzi, nervoso, teso, non riesce a stare fermo. Letta è immobile.

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