«Mandela in stato vegetativo»

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PRETORIA — La sua vita è attaccata a un filo, cinque donne hanno il potere (e il dolore) di decidere se e quando staccarlo. La moglie Graça Machel e le tre figlie di Madiba (il nome del clan con cui amava farsi chiamare): Maki, Zenani e Zindzi, queste ultime consigliate dalla madre Winnie. Sono loro a valutare «come una possibilità molto concreta» il parere dei medici, secondo i quali «per evitare sofferenze» è giunto il momento di staccare il respiratore automatico. Mandela «è in stato vegetativo permanente», questo si legge in un documento diffuso ieri dall’agenzia France Press (anche se in serata un comunicato del presidente Jacob Zuma nega che Mandela sia in stato vegetativo). Il documento diffuso dalla France Press è, però, un «certificato d’urgenza» che la famiglia ha presentato venerdì scorso ai giudici dell’Eastern Cape per accelerare il verdetto sulla «guerra delle tombe» che contrapponeva due ali del clan circa il luogo dove seppellire il fondatore del Sudafrica democratico. La «guerra» è finita ieri pomeriggio: i resti dei tre figli di Mandela sono stati sepolti a Qunu, il villaggio dove il leader è cresciuto e dove ha detto di voler riposare per l’eternità. Le sue cinque donne hanno vinto la battaglia legale con il nipote prediletto, Mandla, che un paio d’anni fa aveva portato quei resti a Mvezo nella prospettiva che anche il nonno venisse sepolto nel villaggio natale. Un contrasto che secondo gli anziani della tribù Thembu impediva a Madiba «di andarsene in pace».
Quell’impedimento non c’è più. Hanno finito anche le ruspe nel nuovo cimitero creato tra le piante di agave sulla collina, nella proprietà accanto alla casa di Mandela a Qunu, preparando gli spazi (ha detto il direttore dei lavori) «per accogliere tutte le persone che verranno al funerale». C’è posto per tutti. Manca solo lui, the old man: dall’8 giugno è ricoverato per una ricorrente infezione polmonare al MediClinic Heart Hospital di Pretoria. Da una settimana si sa che è tenuto in vita grazie alle macchine. La figlia Maki giorni fa aveva parlato del ventilatore. La novità di ieri sta in quelle tre parole, «stato vegetativo permanente», che la famiglia ha usato per convincere il giudice a decidere in fretta sulla questione tombe. Parole che in fondo non contraddicono quanto detto dalla stessa Maki la settimana scorsa: «Se gli prendi la mano reagisce, cerca di aprire gli occhi». Anche le parole pronunciate ieri mattina dalla moglie Graça nel corso di una rara apparizione pubblica (al Centro per la memoria della Fondazione Mandela) sono in linea con il quadro delineato dai medici: «Anche se qualche volta Madiba può apparire a disagio, solo poche volte è sofferente». Ma «he is fine», Madiba è ok. Vuol dire che ha passato il confine della morte cerebrale? Che è migliorato negli ultimi giorni? Come far combaciare le parole dell’adorata Graça («non soffre») con quanto hanno detto la settimana scorsa i medici sulla necessità di «evitare sofferenze»? Dall’ospedale non escono bollettini. Le uniche parole ufficiali vengono dal presidente Jacob Zuma, che ieri pomeriggio è andato a trovare Madiba e ha fatto sapere che le sue «condizioni rimangono critiche ma stabili».
La salute di mister Sudafrica è più una questione di Stato o di famiglia? Di certo Nelson Invictus non è più il padrone del suo destino, il capitano della sua anima, come nella poesia che gli era cara. Secondo il Mail&Guardian l’ultima versione del testamento (forse una pagina soltanto) non dà disposizioni di «fine-vita». La decisione è affidata alle sue cinque donne che guidano una schiera di trenta fra nipoti e pronipoti: con Graça silenziosa e l’ex moglie Winnie che contende a Maki (figlia della prima moglie Evelyn) la scena mediatica, con Zenani (prima figlia di Winnie) dietro le quinte (tornata in Argentina dove è ambasciatrice) e la sorella Zindzi che più di tutte avrebbe sul volto il famoso sorriso del padre ma non può mostrarlo.
Intorno c’è un Sudafrica che sembra sempre più pronto a «lasciar andare» il grande totem. Ai cancelli dell’ospedale ieri meno folla del solito. I venditori di uova sode se ne sono andati. Un gruppo di sostenitori dell’Anc in maglietta rossa cantava e pregava intorno a un tappeto con la famosa frase di Madiba sulle colline che non finiscono mai. In un’intervista del 1993 Madiba parlava del corpo, quel corpo che non l’ha mai abbandonato, dalla tubercolosi al tumore alla prostata: «Il corpo è capace di badare a se stesso, devi solo incoraggiarlo a trovare le risorse per superare ogni indisposizione». Il corpo di Madiba attaccato a un filo, al capezzale cinque donne che forse non sanno cosa fare.
Michele Farina


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