Il giorno del giudizio è per il Pdl Il Cavaliere mette alla prova i suoi

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Il Palazzo vuole capire se davvero, in caso di condanna, il leader del Pdl terrà fede all’impegno sul governo, garantito ancora ieri: «Ho dato la mia parola agli italiani e non potrei tradirla».

Ma c’è un motivo se in tanti non si fidano, se il ministro democratico Delrio arriva persino a confutare la linea ottimista del premier sulla stabilità dell’esecutivo, rivelando di essere invece «un po’ preoccupato». Eppure l’atteggiamento di Berlusconi non dovrebbe dar adito a dubbi, visto che — mettendo in preventivo una sentenza avversa — va ripetendo di voler in quel caso «continuare la mia battaglia come emblema della mala giustizia italiana».

Allora come mai c’è tanta agitazione e tanta esitazione nello stesso Pdl ogni qualvolta il Cavaliere dice che «no, Enrico Letta non si tocca»? È solo un modo di assecondare la linea difensiva dell’avvocato Coppi, o questo è davvero l’intimo convincimento dell’ex premier? E se — sotto sotto — Berlusconi stesse mettendo anche alla prova il suo partito? Se ne stesse valutando la tenuta e la fedeltà in caso di un giudizio negativo della Corte?

Che la partita resti aperta e che il leader del Pdl non abbia ancora deciso come muoversi se venisse condannato, lo s’intuisce da un dettaglio processuale che ha però grande valenza politica: a meno di un improvviso ripensamento del loro assistito, infatti, oggi gli avvocati di Berlusconi non chiederanno un rinvio alla Cassazione. Dunque la sentenza cadrà in una fase che — potenzialmente — consentirebbe ancora al Cavaliere di tentare la prova di forza per far saltare la legislatura e per utilizzare la finestra elettorale di autunno.

Il leader del centrodestra si garantirebbe così un margine di azione, manterrebbe in teoria un’opzione che non potrebbe invece sfruttare se accedesse agli autorevolissimi consigli di chi — in queste settimane — lo ha invitato ad allungare i tempi, anche per alleggerire il clima e allentare le tensioni attorno al processo Mediaset. Ecco il motivo di tanta incertezza nel Palazzo, ecco spiegati i timori di chi dubita che una condanna di Berlusconi non abbia infine impatto sugli equilibri politici. In fondo, non più tardi di una settimana fa, Alfano ribadì al premier il suo convincimento, e cioè che in caso di verdetto negativo «il governo non reggerebbe».

È una fibrillazione che alligna a Palazzo Chigi ma anche nel Pdl, dove tutti cercano di capire come posizionarsi sulla base delle mosse del loro leader. Con Berlusconi che occupa l’intera scena, i dirigenti sgomitano nel cono d’ombra, preoccupati delle loro sorti, certi per la maggior parte di non avere scampo senza il Cavaliere, consapevoli che i sondaggi positivi sono legati alla figura del capo. D’altronde i senza voto faticano persino a raccogliere le firme per i referendum radicali sulla giustizia, come raccontano dalla periferia.

Così trascorrono i giorni che li separano dal giorno del giudizio, sussurrando di diserzioni, di nuovi complotti interni ai danni di Berlusconi, di adesioni a un fantomatico «partito di Napolitano». E intanto parlano di ipotesi future, di improbabili comitati di reggenza, dimenticando — durante quelle discussioni — che in caso di condanna del Cavaliere il partito non farebbe «boom» ma farebbe «flop». Il senatore Augello, osservando lo spettacolo, ha confidato ad un amico che queste scene «mi hanno fatto tornare alla mente ciò che ci raccontava nel Msi il vecchio Romualdi»: «Le truppe Alleate salivano ormai spedite verso il Nord Italia e nella Repubblica sociale i gerarchi litigavano ancora per un posto di sottosegretario».

Dietro la granitica compattezza attorno al Cavaliere, insomma, il Pdl è profondamente diviso. Divisi sono anche i legali di Berlusconi, se è vero che Coppi e Ghedini hanno percezioni diverse sul giudizio della Corte: il primo manifesta un certo ottimismo dettato da un’analisi delle carte processuali, il secondo è pessimisticamente influenzato da una lettura politica del caso che — a suo dire — ha prodotto le prime due sentenze. Stando così le cose, tutti attendono le mosse del leader, e gli ripetono «dicci tu cosa dobbiamo fare». La ragione è chiara, viene dalla recente esperienza con Monti, quando il Cavaliere lasciò uscire allo scoperto quanti puntavano a un’intesa con il Professore, prima di calare la mannaia.

Si capisce allora perché nel Pdl non c’è certezza sul domani, mentre cresce l’ansia di restare senza più capo dentro una maggioranza dove il Pd potrebbe produrre un’offensiva su provvedimenti impotabili per il centrodestra: per esempio, cos’è questo chiacchiericcio di Palazzo su una nuova formulazione del falso in bilancio pronta per essere presentata in Parlamento?

Sono scenari a tinte fosche che potrebbero essere ribaltati se l’ex premier uscisse indenne dalla Cassazione. In quel caso sarebbero i Democratici ad andare in fibrillazione, sotto la spinta dei referendum radicali appoggiati dal Cavaliere. Sarebbe un gran viatico per la campagna elettorale per Strasburgo, dove il centrodestra potrebbe sbaragliare il centrosinistra puntando sulla necessità di cambiare la giustizia e l’Europa dei burocrati. Ecco quanto pesa politicamente il verdetto su «un singolo», che nonostante tutto non perde il gusto della battuta: « …Perché se poi mi affidassero ai servizi sociali, il massimo che potrei fare sarebbe andare di sera per strada a spiegare alle signorine che devono cambiare vita».

Francesco Verderami


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