Alfano, no alla mozione Letta: un atto di fiducia

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ROMA — Respinta la sfiducia al ministro dell’Interno Angelino Alfano, il governo di Enrico Letta respira. Ieri il Senato ha votato contro la mozione di sfiducia presentata da M5S e Sel per il caso Ablyazov. I no alla mozione sono stati 226; i favorevoli 55, 13 gli astenuti. Contro la mozione hanno votato tutti i gruppi della maggioranza (Pd, Pdl, Scelta civica, Gal e autonomie); a favore solo Sel e M5S. Ad astenersi (ma al Senato l’astensione equivale a un voto contrario) sono stati i senatori della Lega Nord. Tre senatori del Pd, in dissenso dal loro gruppo — Laura Puppato, Walter Tocci e Lucrezia Ricchiuti — non hanno partecipato al voto.

Una giornata difficile per il governo, e per il Partito democratico, che si conclude con il risultato previsto. Ovvia la soddisfazione di Alfano. Sollievo condiviso da Silvio Berlusconi, che apprezza molto il discorso di Enrico Letta e guida platealmente la standing ovation del Pdl. Il dibattito inizia proprio con un intervento del premier, che difende Alfano su tutta la linea, chiedendo un voto «di fiducia» sul governo nel suo insieme piuttosto che sul solo ministro dell’Interno: «Il voto che vi chiedo oggi non è solo un no alla mozione di sfiducia presentata da Sel e Movimento Cinque Stelle. Quello che chiedo è un nuovo atto di fiducia al governo che ho l’onore di presiedere». Letta parla più dell’esecutivo (ricordando gli «oltre 80 provvedimenti varati dal Consiglio dei ministri a favore di cittadini, imprese e lavoratori» e la «pressione sistematica per cambiare l’agenda europea») che della vicenda Ablyazov. Ma soprattutto difende il suo vice: «I fatti descritti ci lasciano attoniti e non sono tollerabili nell’Italia 2013. Specie nei confronti di una donna e di una bambina», ma è «inoppugnabile l’estraneità di Alfano». Letta conclude con una nota personale: «Non vorrei che la mia buona educazione venisse scambiata per debolezza. Sono determinato, non ho alcuna intenzione di deludervi e non vi deluderò».

Il capogruppo del Pd, Luigi Zanda, evoca le dimissioni di Alfano, pur dichiarando il no alla sfiducia a nome del gruppo. Dà un giudizio «molto severo» sul caso kazako, loda Josefa Idem per le sue dimissioni e le suggerisce al ministro dell’Interno: «Alfano valuti se nell’agenda della sua giornata ci sia abbastanza tempo per l’incarico di vicepremier, di ministro dell’Interno e di segretario del Pdl». Berlusconi scuote platealmente la testa. Fabrizio Cicchitto più tardi definirà il capogruppo pd «uno stalinista che contraddice Napolitano».

L’affondo di Zanda è anche un modo per confortare l’anima più critica del partito, che mal digerisce il sostegno ad Alfano. Anche i renziani votano compatti contro la sfiducia, ma l’area del disagio va certamente oltre i tre senatori che non hanno partecipato al voto. Il senatore Stefano Esposito si scaglia contro i tre e contro gli assenti (Pasquale Sollo, Corradino Mineo e Stefania Pezzopane, che sarebbe malata). La questione sarà affrontata nella riunione dei gruppi convocata per mercoledì. «Se non saranno assunti provvedimenti io uscirò dal gruppo — dice Esposito — Se vogliono fare gli eroi vadano con Grillo». Zanda sembra però escludere conseguenze per i dissidenti.

Quanto ai 5 Stelle, Nicola Morra, a parte un incidente onomastico (commemora Salvatore Borsellino, vivo e vegeto, invece di Paolo), viene ripreso dal presidente Pietro Grasso per un suo accenno al Colle. «Non si accettano riferimenti al capo dello Stato», dice Grasso (che poi spiega: «Non volevo censurare nessuno»). Duro Nichi Vendola: «La fiducia ad Alfano è una ferita per la coscienza democratica del nostro Paese, un’umiliazione totale e una macchia indelebile sul volto del governo». Così Antonio Di Pietro: «Il Parlamento ha chiuso gli occhi contro una violazione dello Stato di diritto».

Alessandro Trocino


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