Dopo la Consulta, altra doccia fredda doppio colpo alla strategia della Fiat

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TORINO — Due colpi in due giorni, alla vigilia della fase più delicata della vita della Fiat. Per i vertici del Lingotto il combinato disposto della sconfitta sancita mercoledì dalla Corte Costituzionale e della lezione sui diritti dei lavoratori impartita ieri dalla Presidente della Camera, Laura Boldrini, è un boccone assai amaro. È come se in poche ore fossero venuti a galla i limiti di una strategia di rapporti con i sindacati e l’opinione pubblica che fino alla settimana scorsa a Torino consideravano vincenti. Ieri sera a Milano, alla presentazione della due nuove versioni della 500L (Leaving e Trekking) Sergio Marchionne non si è presentato, «trattenuto a Torino da altri impegni», come spiegava una fonte ufficiale. Analogamente, «impegni istituzionali già in agenda purtroppo non mi consentono di accogliere l’invito», come spiega nella sua lettera a Marchionne Laura Boldrini per declinare la proposta di partecipare alla presentazione del nuovo Ducato nello stabilimento Fiat di Atessa il 9 luglio prossimo. Così, nell’estate in cui si potrebbe capire quale sarà il destino della Fiat in Italia, polemiche e imbarazzo tengono la scena. Il no di Boldrini era quasi obbligato anche prima del pronunciamento della Consulta: l’invito a visitare gli stabilimenti le era giunto da un Marchionne polemico per la scelta del Presidente della Camera di incontrare Landini, leader di «un sindacato che ha una rappresentatività molto limitata». Frase assai infelice perché è piuttosto irrituale che sia l’ad del Lingotto a dettare o anche solo a commentare l’agenda degli incontri del Presidente della Camera. A maggior ragione dopo che la Corte Costituzionale ha spiegato, con l’ordinanza di martedì, che quella rappresentanza è limitata delle regole che ha imposto la Fiat e che si basano su un articolo di legge certamente in vigore ma ormai giudicato anticostituzionale. L’ingorgo è così completo. In queste settimane Marchionne ha lavorato con impegno per offrire della Fiat l’immagine di un’azienda con un ottimo rapporto con i dipendenti. Ha visitato Pomigliano nei giorni delle polemiche roventi sui sabati di lavoro, visita immortalata nelle fotografie con le tute blu sorridenti.

Altrettanto ha fatto mercoledì alla Maserati di Grugliasco, nelle stesse ore in cui la Corte Costituzionale rendeva noto il suo verdetto. La lettera di Laura Boldrini dice che la Presidente non intende entrare ad Atessa in quelle fotografie non certo perché non sia apprezzabile lo sforzo della Fiat per mantenere aperti gli stabilimenti italiani. Ma perché quelle fotografie di maestranze sorridenti diventeranno più credibili quando non saranno più giocate contro quella che è considerata la parte cattiva dell’organico, quella che aderisce a un sindacato che l’azienda considera ufficialmente avversario (in questo specularmente ricambiata) al punto da tenere i suoi iscritti fuori dalla fabbrica di Pomigliano. Quando Boldrini accenna alla «gara al ribasso sui diritti del lavoro» segnala che questo modo di concepire i rapporti in azienda non è accettabile in un Paese occidentale. Dove non è possibile che il singolo individuo, per il solo fatto di avere in tasca una tessera sindacale, abbia più difficoltà di altri a lavorare. Il vicolo cieco è la conclusione di un progetto durato tre anni, da quando l’ad del Lingotto ha scelto lo scontro con la Fiom nella speranza di convincerla ad assumersi la responsabilità di rispettare anche gli accordi che non condivide, per quanto approvati a maggioranza. Obiettivo lecito ma perseguito inseguendo il sogno di una fabbrica “defiomizzata”. Ora a Torino si rendono conto che quel sogno, antica chimera nella concezione dei responsabili delle relazioni industriali Fiat del Novecento, non è realizzabile. In due giorni quella speranza è andata in frantumi.

Fiat e Fiom dovranno giocoforza trovare un modo di confrontarsi. Sarà difficile tornare al periodo 2005-2007 quando un altro Presidente della Camera di sinistra, Fausto Bertinotti, aveva definito Marchionne «un borghese buono». Ma non è obbligatorio continuare a combattere all’ultimo sangue come i dinosauri sulla spiaggia. «Regole chiare e certe », chiede in queste ore anche la Fiat per risolvere il rebus della rappresentanza in fabbrica. Una proposta di legge sull’argomento è già stata calendarizzata: è stata presentata da Giorgio Airaudo, oggi deputato, ex sindacalista della Fiom, forse quello che più di altri ha provato negli anni a non interrompere il dialogo con Marchionne. Un’altra proposta è quella annunciata da Cesare Damiano, ex ministro del lavoro anche lui ex segretario della Fiom. Un segno del destino?


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