La doppia sponda dell’Europa che toglie spazio ai temporeggiatori

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In quell’occasione il presidente della Bce aveva sfidato e stroncato la speculazione annunciando che avrebbe fatto tutto il possibile per salvare l’euro. Ieri ha rilanciato, senza possibilità di equivoci, affermando che «la Bce manterrà una politica accomodante a lungo».

La reazione delle Borse e del mercato sui titoli del Tesoro è stata eloquente: rialzo dei valori, rientro su livelli di sicurezza dello spread, la differenza tra i tassi di interesse dei Bund tedeschi e dei Buoni del Tesoro italiani. Per una coincidenza l’uscita di Draghi si è sovrapposta al rapporto rilasciato dagli esperti del Fondo monetario internazionale (Fmi) al termine della loro ricognizione a Roma. L’organismo internazionale rivede al ribasso le stime sulla dinamica del prodotto interno lordo, accentuando il fossato del 2013 (dal -1,5% al -1,8%) e ritoccando al rialzo le cifre per il 2014 (dallo 0,5% allo 0,7%). Un’analisi condivisa, per così dire solo in prosa, senza numeri, dallo stesso Draghi.

Così nel giro di due giorni sul tavolo del governo italiano sono arrivati segnali molto chiari dall’Europa. Qualche risorsa in più per attivare la crescita e, soprattutto, la spinta della Bce. Anzi, Draghi è come se avesse detto all’Italia (oltre che agli altri Paesi in difficoltà, Spagna, Grecia, Portogallo): siete ancora fragili, incerti, come un bambino che sta imparando ad andare in bicicletta. Bene, la Bce vi accompagna, non toglie le rotelline, mantiene al livello minimo i tassi di interesse (0,5%), addirittura non esclude di ridurli ancora, se sarà necessario, non avremo problemi con l’inflazione. Però, dovete sbrigarvi, dovete mantenere gli impegni. Nel linguaggio di Draghi: «Rimangono rischi al ribasso, compresa una lenta implementazione delle riforme strutturali».

Per questa volta il presidente della Banca centrale europea non è entrato con mano pesante nel merito delle misure. Semplicemente perché non ce n’è bisogno.

Fa ancora testo la lettera inviata al governo Berlusconi il 5 agosto 2011, integrata dalle sei raccomandazioni spedite dalla Commissione europea il 29 maggio 2013. E’ un elenco che ormai tutti noi abbiamo quasi imparato a memoria: cessioni, liberalizzazioni, riforme del mercato del lavoro, della burocrazia, del Fisco. Non a caso, e diversamente da quanto hanno fatto gli esperti del Fmi, Draghi si è tenuto alla larga dal dibattito «Imu-sì»; «Imu-no». Serve, invece, un piano, una scala di interventi diversa. Il governo di Enrico Letta ha dimostrato di esserne consapevole. Ma finora più negli annunci o nelle conferenze stampa, a Roma o a Bruxelles, che nei provvedimenti. Il pericolo, ora, è che il premier, il ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni, e l’intera coalizione si sentano al sicuro, ancora una volta sotto la protezione dell’ex governatore della Banca d’Italia, l’alleato di Francoforte, che siede sulla poltrona più importante dell’Unione Europea.

Ma proprio la reazione dei mercati dovrebbe dimostrare come la variabile tempo sia ora cruciale. Ha senso continuare a gingillarsi sulla riforma dell’Imu o sulla modulazione delle aliquote Iva? Quanti mesi di tregua sui mercati finanziari valgono il «bonus Draghi» (tassi accomodanti) e anche il «mini-bonus Barroso» (più margine per gli investimenti)? Sono queste le domande a cui dovrebbero rispondere gli esponenti della maggioranza che ieri, invece, specie sul versante Pdl, si sono impegnati solo per rigettare le osservazioni sull’Imu del Fondo monetario. Due flash pescati dalle dichiarazioni, tanto per avere un’idea della pertinenza del dibattito. Maurizio Gasparri: «Il Fmi si faccia gli affari suoi». Daniela Santanchè: «Quello del Fmi è un attentato alla sovranità nazionale». Nei prossimi giorni (non mesi) toccherà a Letta e Saccomanni riprendere la traccia di Draghi.

L’uscita del presidente della Bce è anche una risposta in chiave internazionale. Negli Stati Uniti, per esempio, Draghi è da mesi il banchiere centrale più criticato.

Basta leggere il blog del premio Nobel Paul Krugman, il portavoce più seguito e più acuminato degli economisti pro-crescita. Ora, in prospettiva, la Bce di Draghi si colloca, di fatto, sullo stesso meridiano politico culturale della Fed americana guidata dell’espansionista Ben Bernanke e della Banca centrale giapponese di Haruhito Kuroda che si muove al servizio della manovra anti deflazionistica messa in campo dal premier Shinzo Abe.

Giuseppe Sarcina


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