Protesta in Aula dei 5 Stelle: soldi finti sui banchi

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ROMA — Il deputato a 5 Stelle Andrea Colletti incrocia i pugni, evocando gli schiavettoni. Un collega del Pd urla «cretina» a una deputata del Movimento intenta a fare una foto (attività vietata, se non ai fotografi autorizzati). Emanuele Fiano parla di «rivoluzione copernicana», chiede conto del fatturato del blog di Grillo e viene sommerso dalle urla e dalle proteste della truppa a 5 Stelle. Cronache di un pomeriggio parlamentare movimentato. Si discute di finanziamento pubblico ai partiti e si mettono ai voti tre mozioni: quella dei 5 Stelle, votata a sorpresa anche dai leghisti, viene bocciata, così come quella di Sel, che chiedeva una commissione di studio. Passa invece, a larga maggioranza, la mozione di Pd, Pdl e Scelta civica (astenuta la Lega), che ricalca il disegno di legge presentato dal governo. I 5 Stelle escono dall’aula per protesta e vanno in piazza Montecitorio, non prima di avere sventolato decine di banconote da 500 euro (finte) e averle consegnate ai banchi del governo (peraltro sguarniti). Lapidario il tweet di Beppe Grillo: «I partiti si tengono i soldi: 91.354.339 euro».

In realtà, il Movimento ha cercato un’ultima mediazione. Chiedendo una sospensione della rata dei rimborsi, almeno fino al varo della legge. Ma non c’è stato nulla da fare. «Si sono opposti soprattutto Pd e Sel — spiega Giuseppe D’Ambrosio — Avevano paura di lasciare senza tutele i loro dipendenti. Così però dovremo aspettare fino al 2017». A dire no, però, è stato anche il ministro pdl Gaetano Quagliariello: «Sospendendo i pagamenti, si rischierebbe non solo il licenziamento dei dipendenti ma anche l’indipendenza dei partiti».

Sullo sfondo delle proteste in Aula, resta il ddl del governo e soprattutto la montagna di emendamenti piovuti da tutte le parti, che rischiano di depotenziare il provvedimento voluto da Enrico Letta. La renziana Simona Bonafè si intesta il risultato della mozione, che è un punto di mediazione tra le posizioni: «Dopo una battaglia che portiamo avanti fin dalla Leopolda di Firenze, ben prima dei grillini, siamo a un punto di non ritorno e finalmente anche per il Pd il finanziamento pubblico ai partiti va superato». Fiano è tranquillo: «Dentro il Pd siamo d’accordo quasi su tutti i punti». Maria Elena Boschi annuisce ma è cauta: «Grazie a noi nella mozione è stato inserito un no a qualunque forma di finanziamento diretto ed è stato tolto il riferimento al cofinanziamento pubblico e privato. Ma è chiaro che si cercherà ancora di annacquare il provvedimento. E di allontanare nel tempo il varo».

Marina Sereni, vicepresidente di Montecitorio, annuncia che il provvedimento arriverà in Aula il 26 luglio. Ma oggi comincerà l’esame degli emendamenti e non si esclude che la battaglia porti ad andare ben oltre agosto. Ce ne sono di pericolosi, di emendamenti, secondo i renziani. Per esempio, quello sul cofinanziamento, presentato da Gianclaudio Bressa, a titolo personale. Ma anche quello sulla media ponderata, che calcola il 2 per mille sul totale dei donatori (e che porterebbe i meno ricchi a pagare di più e viceversa). Tra gli altri emendamenti democratici ci sono quelli per garantire la cassa integrazione straordinaria ai dipendenti, quelli per alzare dal 2 al 2,5 per cento la quota che i contribuenti possono destinare ai partiti e quelli per mettere un tetto alle donazioni dei privati. Dall’altra parte, il Pdl propone emendamenti che, se approvati, potrebbero cambiare il volto del disegno di legge: si vuole aumentare la soglia delle donazioni possibili; depenalizzare l’illecito per le donazioni che arrivino da società partecipate dallo Stato e sostanzialmente smontare le regole sugli statuti dei partiti.

Alessandro Trocino


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