VENEZIA Sacchi, fili, tubi, termosifoni le tecniche di seduzione dell’Arte

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Una quantità spropositata di manifestazioni. Ora, naturalmente si sa che qualunque spettacolo diventa «magico», nello stupendo cortile del meraviglioso Palazzo Ducale. E tutta la magia si è ripetuta autentica anche per questo eccellente Otello, con ottimi cantanti e molte comparse in movimento sulle tipiche passerelle dell’«acqua alta». Ma pazienza se la realtà contraddice l’iniziale «Esultate! L’orgoglio musulmano sepolto è in mar!». Smisurate costellazioni si proiettano e addobbano i fasti delle facciate. E certamente Shakespeare avrà frequentato angiporti londinesi ove i marinai veneziani ripetevano «mona» e «casso» con suggerimenti involontari. Ma un Moro di Venezia generale a Cipro? Storicamente impossibile, ritenevano quei vecchi patrizi locali che deploravano «gli stendardi dell’iniquo oppressor» perfino nello sventolio rosso e bianco in occasione del ritorno dei Cavalli di San Marco nel 1815. E spiegavano che il medesimo Shakespeare, nel Mercante di Venezia, allude a una facoltosa dama con principi stranieri pretendenti. Ma già Pietro Bembo, negli Asolani, racconta le elette conversazioni presso «madonna la Reina di Cipri, poscia che festeggiato si fu e cenato e confettato».

Spiega Carlo Dionisotti: «Caterina Cornaro, sposa nel 1472 a Giacomo II di Lusignano, ultimo re di Cipro. Morto l’anno dopo il marito, essa regnò sola fino a quando Venezia decise di assumere il diretto governo dell’isola (1489). In cambio Caterina ebbe la villa di Asolo e ivi tenne corte, serbando pur nel territorio della Repubblica rango di Regina. Morì a Venezia nel 1510». Nella Treccani si riscontra che il dominio veneziano durò sino al 1571, quando l’isola, difesa soprattutto a Famagosta da Marco Antonio Bragadin, cadde in mano ai Turchi. Orgoglio musulmano sepolto in mar? La contraddizione di ogni «Esultate!» e di ogni Otello pare smaccata. «E tu m’amavi per le mie sventure, e io t’amavo per la tua pietà», può sembrare una rimembranza di vecchietti.
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Si chiama tuttora Ca’ Corner della Regina il palazzo (al posto di un altro, e magari di un altro ancora) sul Canal Grande ove nacque Caterina (1454) e spirò, dopo Cipro e dopo Asolo. Adesso, Fondazione Prada, con Germano Celant che cura la ricostruzione di una mostra «When Attitudes Become
Forms» organizzata dal compianto Harald Szeemann alla Kunsthalle di Berna nel 1969. Un approccio molto radicale e molto emblematico alla pratica espositiva quale medium linguistico fluido e liquido con inter-relazioni continue fra Andre e Anselmo e Weiner e Zorio e i numerosi intermedi visibili allora e ancora alla Villa Panza di Biumo, presso Varese. Dunque sacchi e sacchetti, fili, tubi, neon, termosifoni, foto di strade, lastre per terra; e un sonoro di rantoli. E il solito Joseph Beuys, onnipresente col suo cappellino consueto di feltro.
Quante meravigliose mostre inventava e organizzava Szeemann. Ma fra le veramente indimenticabili, oltre alle «Macchine celibi» a Vienna, si ritrova «Monte Verità» ad Ascona, nel 1978. Basta indicare qualche nome e tema, da un indice foltissimo. Le Mammelle della Verità, Anarchia e Libertarismo, Campo centrale di esperimenti per modi di vita alternativi, Arte, Anarchia, Teatro e Danza, Casa Anatta, Bakunin, Cafiero, Herzen, Laban, Hans Arp, Hugo Ball, Mühsam, Reventlow, Werefkin…
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Lì accanto, a Ca’ Pesaro, si rivedono come care memorie o antichi maestri i Classici del Pop, Rauschenberg e Warhol e Johns; e i minimalisti dell’obbligo; e i tedeschi violenti quali Kiefer e Penck; e le facciate industriali d’altre età; e gli specchi con figure; e le foto giapponesi di cantieri abbandonati; e marine, rovine, macerie assortite fra laghetti e tempietti e pupazzi e bambocci, dalla Collezione Sonnabend… Ricordando Ileana medesima, e le sue tecniche di seduzione diverse dall’exmarito Leo Castelli, quando s’andava a trovarli a West Broadway, e lei attirava in un suo sancta sanctorum, mentre lui si espandeva in piena luce. Né può qui non tornare in mente la grandiosa estroversione di Alberto Burri, fra le colossali imponenze a vivacissimi colori del suo «Sestante», trent’anni fa, agli ex-Cantieri Navali della Giudecca. (Proprio mentre certi suoi «Sacchi» mutavano aspetto, giacché appesi troppo vicini al riscaldamento).
Ecco intanto sentenze moraleggianti di un look definitivo, in neon violetto da auditorium. E mucchietti di robacce che vanno interpretate secondo una loro “spiega”. Sempre a Ca’ Pesaro, tristi e attoniti anni Trenta nostrani, con mamme e nonne e zie nubili, spesso allibite fra scodelle e salviette e angurie e misteri casalinghi. Tempere di astrazioni. Tondi neri con varie opacità. Temporali in cornici dorate, come nella Certosa di Capri. * * * Roy Lichtenstein! Almeno mezzo secolo fa, proprio da Ileana Sonnabend, a Parigi, ho comprato alcune sue lito, numerate e firmate, che forse oggi costano care. Qui al Magazzino del Sale, dove non capita quasi nessuno, le sue sculture appaiono sensazionali. Mai viste prima. Tridimensionali, ovviamente, e neanche espressioniste o Art Déco; ma con una curatissima precisione millimetrica, nel progetto “cartaceo”.
Insistendo ovviamente sui puntini e retini tipografici e ritagliati, come sempre. E sulle striscette di scotch. Addirittura, puntando sull’illusione ottica: una cospicua casetta, sul fondo dei Saloni, appare naturalmente convessa. E invece, da vicinissimo, è concava!
Lì accanto, purtroppo, l’aspirazione di Emilio Vedova di proporsi come terminal di una tradizione pittorica illustre incontra lo stesso destino turistico della Serenissima. Senza prevederli, i graffiti sui muri in giro. E un’immagine vacanziera di accattonaggio inestinguibile.
Così, involontariamente, il compimento di una pittura insigne può risultare più efficace nelle eccellenti parafrasi pittoriche di Tintoretto, da parte del Vedova, alla Scuola Grande di San Rocco. * * * Ah, Giorgio Franchetti. Ci si vedeva almeno dai tempi di via Monserrat, quando si incontrò il primo juke-box (allora detto «singing tower») da sua sorella Tatia, consorte di Cy Twombly, per le nozze di Paul e Talitha Getty, allora produttori di musica da camera. Gli amici erano gli stessi, giacché ci si
vedeva ogni sera nella galleria di Plinio de Martiis, in Piazza del Popolo: Festa, Rotella, Fioroni, Schifano, Angeli, Ceroli, Ontani, de Dominicis… Pino Pascali mi regalava una «Penelope» fatta intrecciando fettucce da lavandino; e come tale fu prontamente utilizzata da una villeggiante. Ci fu una mostra dei quadri di Giorgio in una magione ai Castelli. La si visitò con una persona amica, si invitò lui la sera stessa; e alla fine della cena lei disse: «non abbiamo parlato della mostra!». Gli altri collezionisti amici erano Pupa Raimondi, Luisa Spagnoli…
E rieccoci qui alla Ca’ d’Oro, fra le collezioni del nonno omonimo. E l’Antico, e il Riccio, e l’«opus sectile» o «tessellatum», e tanti antiquari fiorentini o attribuzioni del Longhi fra un Nipote di Biagio di Bicci e un Cugino di Bicci di Biagio… Ma soprattutto, il sensazionale «San Sebastiano » del Mantegna appena visto alla mostra del Bembo e già acquistato dall’anatomo Scarpa. Marmi, bronzi, un Maestro di San Miniato, e Balla, Boetti, Manzoni, Lo Savio… fra care memorie di trasferimenti e genetliaci oltre la Lungara agli Orti d’Alibert, con feste e balli tra le collezioni; e infine una cerimonia funebre con gli antichi Arditi in divisa, e il baschetto d’ordinanza…
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Quanti magnifici ricordi alle mostre di Carlo Guarienti… Torsi e frammenti scabri di tori e cavalli e altri animali meno importanti, nei loggiati del Palazzo Ducale, come già nei saloni romani di Villa Medici. E quanta asperità conquistata contro ogni levigatezza, nelle figure che lottano contro gli astrattismi proclamandosi malagevoli e scomode. Anche contro i calligrafismi d’una formazione manieristica.


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