Rodotà: ora il Pd deve darsi coraggio

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ROMA — Sono quegli «anticorpi democratici» ancora presenti nel Paese che gli danno la voglia di «non guardare soltanto attraverso occhiali neri» la situazione «molto inquietante che stiamo vivendo», dove persino le «più elementari regole democratiche vengono disconosciute». Così Stefano Rodotà, giurista, lunga esperienza politica e parlamentare come indipendente di sinistra e poi nel Pds, incarichi europei, primo Garante per la privacy e candidato del Movimento 5 Stelle alle ultime elezioni del presidente della Repubblica, denuncia ma lancia anche proposte. Compresa quella al Pd di verificare «se possono esistere maggioranze diverse».
E comincia a spiegare: «Ritenere, come Schifani e Brunetta, che una sentenza della Cassazione sia un’alterazione democratica è molto inquietante. Ci sono stati anni di processi, tutti i gradi previsti dal nostro ordinamento… Oltre al fatto che la condanna non può certo rappresentare una sorpresa: Berlusconi l’ha già evitata sette volte grazie alla prescrizione o ad altri meccanismi giudiziari».
Il Pdl sostiene che non è stata pesata la ricaduta politica di questa sentenza.
«Non si può imputare alla magistratura di non aver tenuto conto di qualcosa che non appartiene al suo modo di giudicare, che deve essere libero proprio da valutazioni politiche. Il vero elemento di grave distorsione della democrazia è dire che viene alterata da una sentenza sgradita».
Sta ricordando il principio della giustizia uguale per tutti?
«Certo. O qualcuno vuole affermare che chi ha il consenso elettorale è esentato dall’obbligo di rispettare la giustizia? Si tratta di questioni elementari, ma evidentemente c’è un malessere istituzionale molto ampio in giro. Il Pdl non si riconosce pienamente nel sistema costituzionale, c’è il disconoscimento di logiche e rapporti istituzionali, dell’autonomia della magistratura…. Questo rende tutto molto inquietante. Nel mondo occidentale non si è visto nulla di simile».
Il coordinatore del Pdl, Sandro Bondi, parla di «rischi di guerra civile».
«E chi avrebbe dichiarato questa guerra? La magistratura? È un’affermazione di enorme gravità. Infatti da ambienti del Quirinale — e nulla esce da lì senza l’approvazione del presidente — la si definisce “dichiarazione irresponsabile”».
Secondo lei l’immediata riforma della giustizia, invocata da Berlusconi pena la caduta del governo, deve diventare priorità?
«Prima della sentenza erano tutti d’accordo sul fatto che le priorità per l’Italia sono economia e lavoro: adesso si vuole cancellare tutto».
E la grazia? Le sembra una ipotesi realistica?
«Mi sembra una strada impraticabile. Oltre tutto la si invoca come richiesta politica: che Napolitano con un atto che gli è proprio cancelli una decisione della magistratura. Ma anche volendo stare all’aspetto tecnico, la procedura prevede la valutazione di elementi come il comportamento del condannato, il suo stato: e Berlusconi in questo momento è già stato condannato in primo grado nel processo Ruby. La partita per la grazia sarebbe gravemente conflittuale. E bisognerebbe smetterla di trascinare il presidente della Repubblica in guerre politiche».
Come crede che sarà il passaggio in Senato sulla decadenza di Berlusconi da quell’Aula?
«Anche indipendentemente dalla pena accessoria che arriverà, la norma Severino introduce la decadenza come istituto giuridico che produce i suoi effetti ex lege : l’assemblea deve prendere atto e basta».
Ma ci sarà un voto, e lì tutto potrebbe accadere, a maggior ragione con scrutinio segreto.
«È possibile che i senatori pdl esercitino una sorta di resistenza, alterando le regole. Però credo che ci sia una maggioranza, non antiberlusconiana ma semplicemente rispettosa della legge. Le istituzioni hanno già perduto credibilità in altre occasioni: ma se si avventurassero nell’illegalità, nella violazione di norme che essi stessi hanno approvato, saremmo sulla soglia di comportamenti eversivi. Mi augurerei che anche il Pdl si attenesse alla coerenza e alla responsabilità, rinunciando alla guerriglia».
Il Pd dovrebbe far cadere il governo?
«Credo che la dichiarazione a caldo fatta da Epifani subito dopo la sentenza sia stata corretta e tempestiva. Però ora non basta più. E la sua richiesta a Berlusconi di rispettare i patti mi sembra un po’ ingenua, perché non li ha mai rispettati. Questo governo di larghe intese è nato, si sapeva, su basi fragilissime; ma si è deciso di correre un azzardo. Ha scarsa capacità di previsione, e l’azzardo corso dà i risultati che stiamo vedendo. Il Pd, a mio avviso, non può accettare i continui condizionamenti: l’Imu, la riforma della Giustizia… Non ha autonomia. Letta aveva detto che non avrebbe governato a ogni costo: per ora i costi sono molto alti. Se va avanti così, il governo ogni giorno di più contribuirà davvero a creare alterazioni democratiche».
E dunque?
«La situazione è figlia di una legge elettorale costruita per impedire la governabilità e viziata da incostituzionalità ormai sancite. Può una democrazia continuare a vivere ai margini della costituzionalità? Dunque il Pd abbandoni quella follia politica della revisione costituzionale, bloccata come colpo di mano estivo per merito di M5S e Sel. Metta invece in calendario per i primi di settembre il sistema di voto. Il ritorno al Mattarellum produrrebbe già un terreno più sicuro dal punto di vista democratico. Ma il Pd verifichi anche se possono esistere maggioranze diverse. Auspicando la fine delle docce scozzesi del M5S».
Bersani aveva tentato. Invano.
«Non aveva un mandato pieno e non ha gestito bene la cosa. Ora la situazione è cambiata. Serve coraggio in politica. Finora non ho visto una vera forte iniziativa del Pd».
Però spera…
«Malgrado tutto quello che sta accadendo, vedo che ci sono ancora anticorpi democratici nel Paese. Su temi veri, i cittadini firmano, si mobilitano. I politici se ne vogliono accorgere, o no?»
Daria Gorodisky


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