Bella la Corsica, però sparano

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Quando, nel primo weekend di agosto, gli indipendentisti si ritroveranno come da trent’anni a questa parte non per caso a Corte, poco meno di 7 mila abitanti ma capitale della settecentesca Corsica libera, oltre agli argomenti politici da trattare con le delegazioni straniere, si ritroveranno pure a discutere di questioni assai meno ideologiche e molto più pratiche: omicidi, regolamenti di conti, bande rivali, intrecci con la malavita organizzata, affari che si dirimono con le pallottole.

Sicuramente mancherà all’appuntamento lo storico dirigente nazionalista Charles Pieri, 63 anni, per il quale l’11 luglio scorso si sono riaperte le porte del carcere (condanna a 18 mesi, due anni al figlio Christophe) perché nei suo giardino sono state trovate due pistole Glock oltre a numerose munizioni.

Nell’aula del tribunale di Ajaccio c’erano una sessantina di militanti che hanno ascoltato, anche la sua autodifesa: «Le avevo per ragioni personali, a gennaio sono sfuggito a un attentato. Un mio amico è stato ucciso, mio figlio minacciato». Sarebbe, l’arresto di Pieri, una notizia da due colonne in cronaca se non si legasse, secondo gli inquirenti, alla ripresa forsennata di un banditismo con venature ideologiche, o viceversa, che ha trasformato “L’Ile de la Beauté” (Isola della bellezza) nell’angolo più violento d’Europa per rapporto tra delitti ed abitanti. Dal 2000 a oggi, ben 500 tra omicidi e tentati omicidi per 300 mila abitanti sparsi su 8.500 chilometri quadrati. Venti morti ammazzati nel 2012, già 15 da gennaio (alcuni “eccellenti”).

L’ultimo fatto di sangue risale al 3 luglio. Una macchina con quattro persone a bordo percorre una piccola strada di Castagniccia, vicino al villaggio di Silvarecciu, circa 50 chilometri a sud di Bastia, nel nord della Corsica. Alcuni cecchini nascosti la bersagliano a colpi di mitragliatrice: Jean-Dominique Cortopossi, 25 anni, muore subito dopo l’arrivo dei vigili del fuoco. Neanche il giubbetto anti-proiettile che indossava lo ha salvato. Altri due occupanti della macchina sono feriti gravemente, un quarto riesce a fuggire e a dare l’allarme, ma il suo corpo viene ritrovato pochi giorni dopo non lontano dal luogo dell’agguato.

Come negli altri casi, e come si suol dire, gli inquirenti brancolano nel buio. Impossibile trovare i responsabili a causa dell’esiguità dei mezzi e, soprattutto, dell’omertà che tutto copre. Salvo individuare un filone dove sono forti gli intrecci tra l’indipendentismo del Fronte di liberazione còrso e la grande malavita che ha messo gli occhi sugli affari, soprattutto quelli legati all’edilizia. Parigi, impotente, non fa altro che mandare a più riprese nell’isola ribelle il ministro dell’Interno Manuel Valls, peraltro il più popolare del governo di François Hollande, che però sulla Corsica rischia di bruciare nell’insuccesso un’annunciata brillante carriera. Né bastano le dichiarazioni d’intenti reboanti, come l’ultima, a commento dell’ennesimo episodio di sangue: «Bisogna parlare di mafia in Corsica, definire le cose col loro nome. Ci sono le mani di alcuni gruppi sulle attività economiche. Io sono il primo a pronunciare apertamente la parola mafia. La tolleranza zero è al centro del cammino che vogliamo intraprendere».

Parole, però. Cui non è semplice far seguire i fatti. Prendiamo l’ultimo caso. Le quattro persone coinvolte erano già conosciute dalla polizia ed erano considerate vicine a Christian Leoni (ucciso nell’ottobre 2011)e alla Brise de mer (Brezza di mare) la banda criminale storica di Bastia, nata verso la fine degli anni Settanta (prende il nome da un bar sul vecchio porto dove era solita ritrovarsi) e i cui interessi spaziano dal gioco agli investimenti immobiliari fino al riciclaggio di denaro delle rapine di cui la gang è specialista.

Negli ultimi anni, soprattutto dal 2008, molti componenti importanti della Brise de mer sono stati uccisi.

Secondo la polizia ci sono stati diversi regolamenti di conti tra membri della stessa banda divisi in clan e anche contro altre bande rivali presenti sull’isola. Nel sud della Corsica, ad Ajaccio, c’è la banda del Petit Bar, nata negli anni 2000 (dal nome di un locale di Ajaccio). Altra realtà da non sottovalutare è quella della banda dei Bergers de Venzolasca, un villaggio del nord dell’Isola. L’omicidio di Leoni, uno dei “cadaveri eccellenti”, è stato rivendicato, come non succedeva dal 1993, dal Fronte di liberazione, che ha voluto vendicarsi dell’omicidio di uno dei suoi membri, Philippe Paoli, stando alle ipotesi investigative forse ucciso proprio da Leoni. Paoli era un imprenditore di estrazione nazionalista che voleva investire nel nord Corsica controllato, appunto, dalla Brise de Mer.

La duplice esecuzione di Paoli e Leoni segna l’inizio di una nuova guerra coi vecchi arnesi dell’indipendentismo che starebbero ripensando, dopo un periodo di calma relativa, alla ripresa della lotta cruenta contro Parigi, visto che, in occasione di una delle visite del ministro Vall hanno emesso un comunicato che recita: «Siamo pronti a riprendere le armi perché la Francia riconosca i nostri diritti nazionali».

Il Fronte di liberazione còrso nacque in modo spettacolare nella notte tra il 4 e il 5 maggio 1976 quando, nella notte ricordata dai libri di storia come “Bleue”, si rese responsabile di 22 attentati dinamitardi in diverse località dell’isola oltre che a Nizza e Marsiglia. Dal 1983 il movimento è considerato fuorilegge anche se non manca di svolgere attività più o meno pubbliche (come l’incontro di inizio agosto, di solito tollerato e quest’anno, c’è da scommetterci, molto vigilato). Se la sua ala militarista sembrava aver perso consistenza a favore di una più dialogante, negli ultimi tempi l’ottimistica considerazione sembra smentita dai fatti. Non solo per il numero di delitti, anche per la loro qualità.

A ottobre dell’anno scorso aveva fatto scalpore l’omicidio dell’avvocato penalista Antoine Sollaccaro, personalità molto in vista, un principe del foro e difensore, tra l’altro, anche di Yvan Colonna, condannato all’ergastolo per l’omicidio nel 1998 del prefetto còrso Claude Erignac, classificato come il più grande attentato contro un rappresentante dello Stato dal dopoguerra e considerato un vero punto di non ritorno del rapporto col governo centrale. Un mese più tardi tocca a Jacques Nacer, presidente della Camera di Commercio della Corsica del Sud.

Lo scorso aprile viene ucciso con tre colpi di grosso calibro alla testa, Jean-Luc Chiappini, il presidente del Parco Naturale Regionale e sindaco del villaggio di Letia da 36 anni: appena sbarcato da Parigi, viene freddato mentre si trova a bordo della sua Citroën C5. I tre omicidi sono stati tutti commessi ad Ajaccio. Con tecniche che di solito usano i killer professionisti. L’auto del sindaco è stata affiancata da assassini su uno scooter; l’avvocato pure è stato ammazzato in macchina a una stazione di servizio. Nacer, invece, davanti al suo negozio in pieno centro.

E Parigi come reagisce? Con una serie di prese di posizione verbali naturalmente infruttuose. Manuel Valls fa la spola con l’isola e promette «l’impegno totale dello Stato per lottare contro tutte le forme di violenze in Corsica». E ancora: «Essere sindaci in Corsica è più difficile che altrove, si è sottoposti a pressioni pesantissime». Ammette anche che «15 personalità politiche sono protette segretamente». E scivola in un paio di autogol che gli alienano la già scarsa simpatia di quella regione separata dal mare dalla madrepatria. Intanto perché liquida in poche parole un elemento spinoso che ha a che fare con l’identità: «Esiste una sola lingua della Repubblica ed è quella francese, non si può neanche concepire che ne esista una seconda ufficiale su una parte del territorio». E poi perché allude a una predisposizione atavica dei còrsi al regolamento di conti per le vie spicce: «La violenza è radicata nella cultura dell’isola».

Nel concreto, da gennaio sono stati inviati ad Ajaccio solo una ventina di poliziotti di rinforzo e nel capoluogo esiste un solo giudice istruttore che si deve occupare di tutti i dossier. Secondo il giornale locale “Corse Matin” non c’è nessun coordinamento tra i vari corpi di polizia i quali hanno difficoltà a svolgere le indagini a causa di una “omertà” che ricorda la “mafia”: due parole della lingua italiana diventate di uso corrente. E che riecheggiano anche nell’analisi di Xavier Bonhomme, nominato nell’ottobre scorso procuratore di Ajaccio: «In Corsica la gente è molto reticente a testimoniare in tribunale e non ha fiducia nella polizia, quindi è difficile convincere qualcuno a parlare».

Anche perché sull’isola si conoscono tutti e i rapporti sono alquanto intrecciati. Il procuratore, ne avesse i mezzi, avrebbe anche ben chiaro dove colpire: «Quando si arriva ad Ajaccio si resta colpiti nel vedere il gran numero di macchine di lusso che ci sono, eppure la media delle dichiarazioni dei redditi non è elevata. Bisogna quindi concentrarsi sugli investimenti fatti, investigare sui movimenti strani dei soldi che vengono in qualche modo riciclati».

Malavita organizzata, bande rivali, indipendentismo: tutto si tiene in questa escalation di violenza che, riattivatasi anche durante i mesi estivi, potrà avere delle conseguenze sul turismo, fonte di guadagno principale dell’isola. Sono anzitutto i francesi (e poi gli italiani, per la vicinanza) a considerare la Corsica una delle mete preferite di villeggiatura. Alcuni di loro sembrano voler dar retta al filosofo Bernard-Henry Lévy che un paio d’anni fa suggerì in modo provocatorio di «boicottare la Corsica come meta turistica per far diminuire la violenza». Nel primo trimestre 2013, ultimi dati disponibili, il numero dei turisti francesi è sceso dell’8,5 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (dati Insee, Istituto di statistica e di studi economici).

E i timori per la stagione li aveva già espressi Didier Leonetti, il direttore dell’Agence du Tourisme de Corse, nell’ottobre scorso, poco dopo l’assassinio dell’avocato Antoine Sollaccaro: «La Corsica sarà vittima dell’ondata di omicidi. Così come lo sono i suoi abitanti tutti».


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