“Regolare finanza e paradisi fiscali l’Italia non aumenterà il suo debito serve uno scatto dall’Ue nel 2014”
ROMA — L’Europa e l’Italia. La crisi e la ripresa. Il presidente del Consiglio intreccia i nodi economici interni con la prospettiva di risolverli insieme e non contro Bruxelles. E dal palco di Rimini, dove inaugura il Meeting di Cl, dice chiaro che «il 2014 può essere l’anno del nuovo inizio dell’Europa». Ma solo se sarà «responsabile e capace di decidere », se parlerà di «sviluppo e lavoro, accanto al rigore». E se rimetterà «la finanza fine a se stessa al proprio posto», quello di essere «sussidiaria agli investimenti e alle imprese» e non causa di bolle terribili «come un tempo erano le guerre». Accanto a un’Europa nuova, perché «così com’è non va», l’Italia farà la sua parte. «Tutto ciò che faremo, lo faremo senza fare più debiti», promette il premier. «L’uscita della crisi è a portata di mano. Se ci mettiamo d’impegno, io non ho dubbi: ne usciremo. Nessuno ci può battere, se vogliamo possiamo farcela».
Due i piani del discorso di Letta, dunque. Sul fronte interno, il presidente ricorda il clima dell’agosto di due anni fa quando «lo spread saliva e sembrava fosse la fine del mondo». Mentre oggi «è tornato indietro a prima di quel momento drammatico». Segno che «in questi due anni un percorso, doloroso e faticoso, si è compiuto». Ma non basta, Letta ne è consapevole. «Le tasse dovranno scendere nel modo giusto in cui si potrà fare. Le spese dovranno essere contenute. E soprattutto il cittadino dovrà essere al centro delle politiche». In autunno promette che «si affronterà con ancora più forza» il tema del rimborso dei debiti dello Stato con le imprese, «quello sconcio del nostro Paese». Mentre a settembre partirà “Destinazione Italia”, «un piano per dire che l’Italia è ancora il Paese per il quale vale la pena di fare un investimento ». Si appassiona Letta quando ripete che «non l’ho cercata, ma io ho una missione: rendere conto di un’Italia che sa che può uscire dalla crisi». E quando minaccia, quasi: «Nessuno interrompa questo percorso di speranza che abbiamo cominciato». Poi la «promessa», mai più altro debito pubblico: «Abbiamo imparato dal passato: fare debiti e deficit vuol dire scaricarli sui nostri figli».
Sul fronte europeo, Letta rintraccia nella finanza, «e nei finanzieri », la radice della grande crisi, proprio perché «uscita dal proprio ruolo e diventata il centro di tutto». E quindi incalza: «Quanti morti veri — imprenditori che si sono suicidati, disoccupati che si sono tolti la vita — ci sono stati per gli errori della finanza, per le bolle che sono oggi le moderne guerre». Non c’è altro da fare, chiede il premier all’Europa, che intensificare «la lotta all’evasione e ai paradisi fiscali, da cui nasce tutto». E correggere la rotta di Bruxelles. «L’Europa ha istituzioni che non consentono di decidere» visto che «ci sono voluti trenta vertici europei» per capire come affrontare la recessione. E la Grecia nel frattempo, «dove la crisi è cominciata e dove va risolta», ancora annaspa. «Le istituzioni sono fredde, sfociano nella burocrazia, i vertici parlano di sigle astratte, incomprensibili», è il j’accuse di Letta alla Ue. Al contrario, «occorre un’Europa che parli di lavoro, che crei lavoro, che aiuti a creare lavoro». Altrimenti dopo le elezioni del 2014, se «continuerà a non dare risposte ai cittadini o darne di sbagliate » ci ritroveremo «il Parlamento più anti-europeo della storia dell’Unione». D’altronde «noi siamo sembrati i colpevoli di questa crisi». Perché? «Perché gli altri, cioè gli Stati Uniti — da cui la bolla dei subprime è partita — hanno deciso e ne sono usciti. Noi no». Sul rigore nei conti pubblici — l’unica ricetta europea — Letta ammette che «c’è e ci deve essere, perché nessuno di noi vuol fare debiti». Ma senza lavoro, non si riparte.
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