Il Pdl vira sulla «linea morbida» Il Cavaliere: certe cose mi danneggiano

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ROMA — «Stiamo andando troppo oltre. Anzi, sono andati troppo oltre. E visto che queste cose danneggiano me, adesso intervengo io». Stavolta l’input non arriva «genericamente» da qualche colomba o dai ministri. No. Poco prima di mezzogiorno, mentre da Piazza Affari arrivano notizie preoccupanti, Silvio Berlusconi in persona alza il telefono, chiama il portavoce Paolo Bonaiuti e inizia la rapidissima stesura con cui viene imposto l’altolà ai falchi del partito.
Ma dietro quel messaggio che in pochissimo tempo fa il giro delle agenzie di stampa, dietro quell’invito a «non essere nocivi all’unità del partito», c’è in realtà un obiettivo. Fermare quella spirale originata dalle dichiarazioni di Daniela Santanchè, che in meno di quarantott’ore avevano spezzato quel clima di «unità tattica» che s’era instaurata sabato con la dura nota affidata alla firma di Angelino Alfano.
Perché non solo a Berlusconi non è «piaciuta per niente» la rissa andata in scena dopo che la Pitonessa era tornata domenica all’attacco delle colombe. Adesso, il Cavaliere s’è convinto che quel tipo di alzate di scudi non convenga. Al contrario, dicono i suoi, «possono crearci molti danni». E non si tratta tanto di limare le posizioni più dure nei confronti del governo, e infatti altri «falchi» come Denis Verdini e Daniele Capezzone non vengono accomunati alla Santanchè negli sfoghi privati di ieri mattina. Si tratta di fermare, dicono i suoi, quella «rissa generata dalle uscite di Daniela».
Tira il freno, Berlusconi, ieri mattina. E i pochissimi che riescono a parlarci lo raccontano come preoccupato anche della «linea durissima» decisa sabato al vertice di Arcore. Quasi come se fosse intenzionato a riportate le lancette dell’orologio al giorno prima, e cioè a venerdì, quando tra le mura di villa San Martino c’erano con lui i figli, Fedele Confalonieri e Gianni Letta, che il giorno dopo non ci sarebbero stati. E l’atmosfera era quella scandita da un Cavaliere decisamente più cauto.
Per quanto non riesca a trattenersi dal chiamare in causa Napolitano, il Cavaliere sa benissimo — perché sia Gianni Letta che i ministri continuano a dirglielo — che i segnali che arrivano dal Colle non sono cambiati di un millimetro rispetto alla nota di Napolitano della vigilia di ferragosto. La stessa in cui la strada del provvedimento di clemenza veniva subordinata a quello che prevede la legge. Ma, anche ad Arcore, alcuni passaggi dell’intervista rilasciata da Luciano Violante al Corriere sono visti come un segnale positivo. «È uno spiraglio esile. Ma, in un momento come questo, dobbiamo percorrere tutte le strade possibili. E, per farlo, adesso dobbiamo abbassare i toni».
L’ordine di scuderia arriva a Roma. Dove Angelino Alfano, qualche ora più tardi, parla dell’Imu in termini opposti rispetto alla posizione emersa sabato: «È difficile ma possiamo farcela». E dove un altro ministro, Gaetano Quagliariello, arriva ad annunciare che Enrico Letta (e lo stesso Alfano) saranno gli ospiti della scuola di formazione della sua Fondazione Magna Carta. Che prende il via l’8 settembre, un giorno prima della giunta.
I venti di guerra tra il Cavaliere e il governo soffiano, ma molto meno. Non c’entra la paura delle urne. Al contrario, ripete Berlusconi, «i sondaggi mi dicono che Letta lo sconfiggo e con Renzi c’è un testa a testa». Il problema è riuscire a superare le forche caudine del Senato, dove i possibili transfughi aumentano di ora in ora. E aggirare il pericolo di una legislatura che potrebbe andare avanti anche a dispetto di Arcore. Da qui la frenata di ieri. A cui, nel pomeriggio, giura di adeguarsi anche la Santanchè: «Berlusconi ha fatto bene a intervenire. Il partito è unito».


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