A Roma il centro chiama la periferia

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Come a dire «non ci piace ma dobbiamo farlo». Grande è, troppo spesso, la delusione del dopo, quando, per fare un esempio, a fronte di proclami elettorali che invocano il cambiamento, si costituisce il cosiddetto governo delle larghe intese. Marino, e la sua giunta, sembrano sconfessare questa delusione temuta e, fortunatamente, smentita. Il progetto dei Fori è partito senza alcun indugio, come promesso. È un progetto di grande valore simbolico prima ancora che urbanistico e politico. Si tratta di quel segnale di svolta e di discontinuità rispetto al passato (un passato lungo che comprende anche le recenti giunte di centrosinistra) che ci era stato promesso e, ora, mantenuto e che ricostruisce una continuità con l’amministrazione di Petroselli e Nicolini, come ben ricorda il bello e istruttivo articolo di Vezio De Lucia sul manifesto di ieri). Naturalmente sarebbe pericoloso illuderci – lo hanno detto in molti – che la parziale pedonalizzazione di via dei Fori Imperiali esaurisca neppure in parte un progetto che non può che avere valenze culturali, scientifiche, politiche e urbanistiche molto più ambiziose. Ma l’incantesimo che paralizzava Roma si è rotto, come testimonia il grande successo della Notte dei Fori di sabato 4 agosto, e non sarà più possibile tornare indietro.
Marino e la sua Giunta sembrano inaugurare anche un nuovo percorso di democrazia cittadina. Non più quei retorici richiami e altrettanto retoriche norme sulla partecipazione astratta, ma una attenzione sincera nei confronti delle opinioni dei cittadini quando si tratta di problemi ed obiettivi che riguardano il bene pubblico.
Resta il fatto che anni di malgoverno e di incuria sociale hanno prodotto una frattura profonda tra il popolo delle periferie (quell’immensa moltitudine di persone che vivono ai margini o fuori del Raccordo anulare in condizioni di totale emarginazione) e l’attenzione al centro storico. Non è male ricordare che fu proprio il voto di quelle vite periferiche a decretare l’inaspettato (per alcuni osservatori distratti) insuccesso della candidatura a sindaco di Rutelli. Si parlò allora di rancore, di quel sentimento profondo di sconforto, frustrazione e abbandono che serpeggiava diffuso tra quelle stesse persone che, in passato, avevano prodotto il mito dello “zoccolo duro”, dell’anima rossa che arginava qualsiasi velleità di vittoria della destra. Quando Walter Siti, nel suo bellissimo libro sulle periferie romane – Il contagio – racconta di non aver mai conosciuto un borgataro riformista, si riferiva alle aspettative concrete e immediate che hanno coloro che abitano e vivono in queste periferie dannate che non si lasciano ingannare da retorihe politiche moderniste. E Roma, come ci ha spesso ricordato un suo illustre ricercatore sociale – Franco Ferrarotti – è tutt’una con le sue periferie. Senza le sue periferie Roma non esiste, e anche lo stesso centro storico, per quanto il più interessante e vasto di qualsiasi altra città del mondo, costituirebbe un corpo mutilato se venisse privato di quest’altra parte della città che ne costituisce complemento.
Tutto questo per dire che il problema delle periferie è sempre urgente e mai adeguatamente affrontato. In queste periferie c’è l’anima profonda della città, la sua parte oscura fatta anche di ambigue pratiche di sopravvivenza, di traffici illeciti, di miserie, di marginalità e abbandono, ma anche la parte più viva e innovativa da dove partono segnali culturali e politici che anticipano i tempi, come ben insegna la disastrosa avventura elettorale di Veltroni-Rutelli. Anche qui è necessario un segnale di discontinuità, un progetto simbolico che riapra una speranza nei confronti di chi ogni speranza l’ha persa da tempo e ha consegnato il proprio destino al populismo bieco della destra.
Le competenze, nella Giunta di Marino, ci sono tutte, a partire, solo per fare qualche nome, da Luigi Nieri, che proprio nelle periferie fece il suo esordio politico, e da Giovanni Caudo, che tante e istruttive ricerche universitarie ha dedicato a questo tema. Serve solo uscire dalla paludosa retorica delle precedenti amministrazioni e dare avvio a un rinascimento urbano che si diffonda nel paese. Vorrei ricordare un illustre esempio di come una politica urbana possa produrre inaspettati quanto benefici cambiamenti, persino antropologici: Domenico Starnone a proposito della pedonalizzazione di piazza del Plebiscito a Napoli (era del primo Bassolino) raccontò che i napoletani erano così entusiasti di quel risultato che ri-cominciarono a pagare il biglietto dell’autobus. Un modo certamente scherzoso di rappresentare una fiducia degli abitanti che nel tempo era stata sommersa dal disincanto della politica.


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