Il principe delle spie non convince Putin

Loading

L’Arabia saudita gioca il suo jolly nella partita siriana per far saltare le alleanze L’Arabia saudita ha giocato il jolly ma le carte che ha messo sul tavolo non sono servite a convincere il presidente russo Vladimir Putin, almeno dicono questo le notizie che abbiamo ricevuto. Mosca ha respinto la proposta del valore di molti miliardi di dollari volta a spezzare l’alleanza tra la Russia e il presidente siriano Bashar Assad, presentata da Riyadh attraverso Bandar bin Sultan, l’uomo dei mille intrighi internazionali, della stretta amicizia con i presidenti Bush, padre e figlio, delle tante operazioni sporche compiute quando, tra il 1983 e il 2005, era ambasciatore negli Stati uniti (Michael Moore gli ha dedicato ampio spazio nel suo Fahrenheit 9/11). Oggi è il potente capo dei servizi segreti sauditi.
Bandar bin Sultan incarna il detto secondo il quale l’erba cattiva non muore. Da due anni è uno dei grandi manovratori dell’opposizione e dei ribelli siriani (specie dei jihadisti) e negli ultimi mesi è riuscito a strappare l’iniziativa anti-Assad ai rivali del Qatar. In Libano appoggia e promuove ciò che si trama contro il movimento Hezbollah, stretto alleato di Damasco e del potente “nemico sciita” iraniano. Forte del “prestigio” di cui gode nelle buie stanze dello spionaggio internazionale, il capo dell’intelligence saudita lo scorso 31 luglio aveva offerto l’acquisto da parte del suo paese di armi russe per 15 miliardi di dollari e una maggiore influenza di Mosca nel mondo arabo, in cambio della fine dell’appoggio della Russia ad Assad, soprattutto in sede di Nazioni unite dove Mosca continua, grazie al potere di veto, a impedire l’approvazione di risoluzioni durissime contro Damasco.
Un diplomatico europeo molto autorevole citato dall’agenzia francese Afp, ha spiegato che l’emissario di Riyadh ha detto ai russi che il suo Paese «è pronto ad aiutare Mosca a giocare un ruolo più importante in Medio Oriente nel momento in cui gli Usa sono piuttosto sulla linea del disimpegno». Avrebbe anche offerto un’assicurazione sul versante energetico: «indipendentemente dal regime» che potrebbe prendere il potere in Siria, in cambio della svolta anti-Assad, l’Arabia Saudita garantirebbe alla Russia un divieto di transito del gas di Paesi del Golfo in territorio siriano, evitando a Mosca una pericolosa concorrenza. In sostanza i sauditi avrebbero prospettano a Putin di farsi garanti di cruciali interessi economici russi, come fece Assad nel 2009 quando, proprio per non danneggiare Mosca, non firmò con il Qatar un progetto di costruzione di un gasdotto che avrebbe collegato direttamente le petromonarchie del Golfo all’Europa.
Come sia andata punto per punto non lo sappiamo. Secondo le indiscrezioni circolate nelle ultime ore, Putin avrebbe ascoltato con attenzione la proposta di Bandar bin Sultan e poi, educatamente, avrebbe fatto capire che non se ne farà niente: «nessun cambio di strategia malgrado queste proposte». Gli analisti russi hanno confermato il rifiuto, sostenendo che nascerebbe da principi «non superabili» anche in cambio di generose offerte. In realtà il «rispetto» dell’amico Assad c’entra poco. A motivare il «no» di Mosca è ben altro. Putin sarà pure un presidente autoritario e poco garante delle libertà e dei diritti, ma non è stupido. Sa che non può fidarsi di Bandar bin Sultan e dell’Arabia saudita che farà sempre e comunque gli interessi degli alleati americani nella regione: Riyadh una volta ottenuto ciò che vuole non esiterà a gettare alle ortiche accordi e assicurazioni. Seccata, ci raccontano varie fonti, è stata la reazione del capo dello spionaggio saudita che ha fatto capire ai russi che l’unica opzione sul tappeto a questo punto diventa quella militare e che bisogna scordarsi della conferenza “Ginevra 2”, poiché l’opposizione non parteciperà. E deve essere andata proprio così perché lo sanno anche le pietre che la conferenza internazionale di pace sulla Siria non si farà perché non la vogliono l’Arabia saudita e il Qatar: il capo della Coalizione Nazionale siriana, Ahmad Jarba, non oserà mai violare gli ordini che arrivano da Doha e Riyadh.
Bandar bin Sultan continua nel frattempo le sue attività più o meno segrete, volte soprattutto a far arrivare alle formazioni jihadiste e all’Esercito libero siriano le armi necessarie per combattere l’Esercito governativo siriano e per contrastare i ben addestrati e motivati guerriglieri di Hezbollah che appoggiano sul terreno le truppe di Assad. La stella del principe delle spie si era appannata dopo gli attacchi alle Torri Gemelle. Molti attori internazionali lo avevano dimenticato anche perchè bin Sultan per lungo tempo è stato impegnato a sconfiggere una grave malattia che lo ha costretto a sottoporsi (negli Usa, naturalmente) a quattro interventi chirurgici e a osservare una lunga convalescenza lontano dalla politica e dalla diplomazia. Tuttavia al suo rientro in patria alla fine del 2010 trovò ad accoglierlo re Abdallah e tutti i pezzi da novanta della politica saudita, a conferma che il suo “ruolo” non era mai stato davvero in discussione. E come tre anni fa aveva anticipato il ben informato giornale arabo online Elaph, quello di bin Sultan non è stato un ritorno di basso profilo alla politica. «Sarà l’artefice di una svolta di maggiore rigidità nelle dinamiche regionali», scrisse Elaph aggiungendo che avrebbe contrapposto un «argine» all’influenza iraniana nella regione. E si deve riconoscere al giornale arabo di aver visto giusto, anche perché Bandar bin Sultan trae vantaggio dalla fragilità di una leadership saudita formata da anziani malati, bisognosi di persone in grado di prendere decisioni forti in un periodo cruciale per la regione. Secondo il quotidiano di Beirut al Akhbar, il capo dell’intelligence saudita sarebbe il principale finanziatore e organizzatore dell’arrivo in Siria di «mujahedin», i combattenti jihadisti provenienti da decine di Paesi. Il difetto di bin Sultan, aggiunge al Akhbar, è sempre lo stesso, quello di sopravvalutare le sue capacità e le possibilità di successo dei suoi piani. In passato non sempre ha visto realizzati i suoi progetti, lo stesso potrebbe accadergli ora.


Related Articles

Profughi in Turchia, in fuga da Assad

Loading

Ex alleati L’avanzata dei tank ha fatto salire alle stelle la tensione al confine. I militari di Ankara piantonano gli incroci, col binocolo puntato ad osservare gli spostamenti delle truppe oltre frontiera. In migliaia, scappati dalla repressione. I legami familiari fra turchi e siriani che vivono nell’area di Yayladagi sono infiniti e ai cancelli dei campi si susseguono gruppi di parenti che portano aiuti agli sfollati  

“È la rivolta dei telefonini l’unico totem è il consumismo”

Loading

Il sociologo Anthony Giddens, inventore della Terza Via: “Giovanissimi con una sola cosa in comune, nulla da perdere”. Tottenham, il quartiere dov’è cominciata la violenza, è un’isola di degrado con un’alta disoccupazione. La tecnologia ha moltiplicato la diffusione della protesta ma anche il virus dei vandalismi. È una esplosione di rabbia simile a quella di Parigi, ma qui mancano identità  etnica e ideologia 

Ancora scontri a piazza Tahrir. I medici: “Almeno quattro morti”

Loading

IL CAIRO – Quattro persone sono morte ieri al Cairo, durante gli scontri che ci sono stati tra i manifestanti e la polizia davanti alla sede del governo egiziano.

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment