Letta difende il governo: il percorso non va interrotto

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RIMINI — «L’Italia sa che può uscire dalla crisi e non voglio che nessuno interrompa questo percorso di speranza che abbiamo iniziato. L’uscita dalla crisi è a portata di mano ma dobbiamo guardare al futuro e non al passato. Gli italiani puniranno chi anteporrà gli interessi privati a quello comune che è l’uscita dalla crisi». Il messaggio è chiaro: si deve trovare un modo per andare avanti, per non compromettere gli sforzi fatti finora, per non far ripiombare il Paese nel solco dell’instabilità. È un messaggio diretto a tutti coloro che hanno trasformato la politica italiana in contrasto permanente fra tesi opposte, sganciate dal merito dei problemi, a tutti coloro che sia nel Pd che nel Pdl possono essere definiti come «professionisti del conflitto», quel conflitto che ha portato l’Italia allo stato in cui si trova.
Enrico Letta inaugura il Meeting di Rimini con un accento di fiducia, nonostante la situazione. Non parla ovviamente di agibilità politica del Cavaliere, delle conseguenze della sentenza di condanna contro l’ex premier: non vuole e non può. Il solco dell’intervento è sull’Europa, su come l’Unione europea dovrebbe riformarsi, per essere all’altezza della sfida della globalizzazione.
E per quanto riguarda l’Italia la prima convinzione è che non possa permettersi una crisi, chi la provocherà ne pagherà le conseguenze. Nonostante il dibattito politico, le ansie dei ministri del Pdl, la voglia di alcuni settori del Pd di far decadere molto in fretta Berlusconi dalla carica di parlamentare, il capo del governo prova a tirare per la sua strada, convinto che il merito dei problemi del Paese può fare premio sullo scontro in corso fra le due gambe della maggioranza: «È necessario non interrompere un cammino di speranza, non lasceremo soli i giovani. Lavoreremo e faremo di tutto perché riescano ad avere opportunità che altri giovani in altre parti d’Europa hanno oggi», è l’esordio del presidente del Consiglio.
La cornice dell’intervento prende a prestito le parole di due anni fa di Napolitano, pronunciate proprio qui a Rimini: il presidente della Repubblica chiedeva alle istituzioni di «parlare il linguaggio della verità». «Abbiamo la sensazione che un percorso si è compiuto — dice Letta —. Un segno è dato dallo spread, che è tornato a livelli inferiori rispetto a due anni fa e ora il cambiamento più urgente è la legge elettorale: a ottobre la Camera dovrà approvare la riforma per consentire ai cittadini di tornare arbitri».
Per fare tutto questo occorre ovviamente che il governo vada avanti, che non l’abbiano vinta i «professionisti del conflitto, tutti coloro che hanno da guadagnare dallo scontro continuo, dalla politica in cui c’è un nemico piuttosto che un problema da risolvere, in cui tutto è consentito», mentre le esigenze di «alcune rendite» lasciano i mali del Paese di lato, irrisolti, ad accumularsi.
Parole nette, rivolte anche al suo partito, come a tutti coloro che nel Pdl soffiano sul fuoco della crisi di governo, quando invece bisognerebbe superare la logica dello scontro elettorale basato sulla «paura che vinca l’altro o sulla propria superiorità morale».
E che di cose da fare sia piena l’agenda, Letta non ha quasi bisogno di rimarcarlo. «La crisi finanziaria è iniziata negli Stati Uniti, il virus è poi arrivato in Europa, loro l’hanno sconfitto e hanno ripreso a crescere, noi siamo stati vittime del fallimento di una certa politica e di un certo schema istituzionale, a livello europeo, che non funziona. Ci sono volute 30 riunioni del Consiglio di Bruxelles per arrivare a delle decisioni».
Insomma è chiaro che l’Italia ha davanti a sé anche il compito di provare a dare maggiore incisività alle istituzioni comunitarie, il prossimo anno avrà la presidenza di turno della Ue, e ovviamente una crisi di governo in autunno comprometterebbe un percorso che sia al Colle che a Palazzo Chigi hanno finora immaginato in modo diverso da quello che si discute negli ultimi giorni sui principali quotidiani.
In questo quadro il capo del governo prova a toccare solo di sfuggita, e in modo indiretto, i problemi più scottanti dell’attualità politica, del resto la platea di Cl si aspetta un intervento sull’Europa, quella che ci deve «aiutare a creare lavoro senza fare nuovi debiti. Ne abbiamo fatti troppi in passato e oggi paghiamo il conto». Un conto che sarà certamente più salato in caso di crisi di governo. Letta ricorda il voto di febbraio, paragonandolo a «un terremoto: quel voto è stata l’ultima richiesta al sistema della politica di cambiare. E a quella domanda non possiamo essere sordi».


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