Un nastro giallo per dire a Obama: «Ridacci i nostri Cinque compagni»

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Un nastro giallo per i Cinque cubani nel quindicesimo anno della loro ingiusta detenzione. Giallo è il colore evocato dalla canzone Tie a Yellow Ribbon Round the Ole Oak Tree. «Lega un nastro giallo intorno alla vecchia quercia», dice il detenuto che esce dal carcere alla sua donna, per sapere se lei lo aspetta ancora. E lei risponde esponendo nastri gialli dappertutto. È l’ultima campagna internazionale ideata per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla vicenda dei cinque agenti cubani. Quattro di loro – Gerardo Hernandez Nordelo, Ramon Labanino Salazar, Antonio Guerrero Rodriguez, Fernando Gonzalez Llort – sono ancora prigionieri nelle carceri statunitensi. Il quinto, René Gonzalez, ha finito la pena ed è tornato nel suo paese: «Vorrei che questo 12 settembre producesse un terremoto d’amore, un messaggio del popolo cubano a quello nordamericano», ha scritto dall’Avana.
René e i suoi quattro compagni sono stati arrestati a Miami il 12 settembre del 1998 con l’accusa di spionaggio. Lui è stato condannato a 15 anni e ha ottenuto la libertà condizionale nell’ottobre del 2011. Un’amica gli ha prestato la casa in un quartiere di Miami, dove però ha dovuto vivere sotto la costante minaccia di essere ucciso dalle reti anticastriste, quelle stesse che aveva provato a disinnescare durante la sua missione. Reti tutt’ora pericolose, continuamente foraggiate dai soldi del Pentagono e armate dalla Cia. I documenti del Cablogate, resi noti dal soldato Usa Bradley Manning, e quelli del Datagate, prodotti dall’ex consulente Cia Edward Snowden, lo hanno confermato, provando quanto Cuba denuncia da anni. Il 12 aprile di quest’anno, Gonzalez ha dovuto rinunciare alla cittadinanza statunitense, acquisita per nascita.
I Cinque cubani, poco prima di essere arrestati avevano scoperto un piano criminale che avrebbe messo in pericolo anche la sicurezza di cittadini Usa. Il 16 e il 17 giugno del ’98, il governo cubano aveva invitato due importanti responsabili dell’Fbi ai quali aveva consegnato un’ampia e dettagliata documentazione sulle reti destabilizzanti residenti in Florida: il frutto dell’attività di intelligence portata avanti dai cinque agenti infiltrati fra gli anticastristi. In precedenza, Fidel Castro aveva fatto pervenire un messaggio al suo omologo statunitense, Bill Clinton attraverso lo scrittore Garcia Marquez.
A tutt’oggi, malgrado le prove fornite all’Fbi, nessuno dei personaggi implicati in quei crimini è mai stato interrogato o perseguito negli Usa: dove anzi continuano a trovare rifugio i peggiori mercenari come Posada Carriles, reo confesso di diversi attentati mortali. Dal ’59, il terrorismo contro il popolo cubano ha causato la morte di 3.478 persone, e ne ha menomato a vita altre 2.099. Tre mesi dopo, invece, vengono arrestati i cinque agenti. Dopo un processo macchiato da numerose violazioni del diritto, vengono condannati a 4 ergastoli più 77 anni, rinchiusi in diverse prigioni di massima sicurezza e sottoposti a trattamenti inumani e degradanti. Il 27 maggio 2005, il gruppo di lavoro sulle Detenzioni arbitrarie delle Nazioni unite segnala le violazioni contro i Cinque e chiede un processo non viziato come quello di Miami. Il 9 agosto, tre giudici della Corte d’appello dell’undicesimo Circuito di Atlanta decidono all’unanimità di annullare il verdetto del tribunale di prima istanza e chiedono un nuovo giudizio.
Il 28 settembre, il governo Usa chiede a tutta la Corte d’appello, composta da 12 giudici, di riconsiderare quella decisione, forzando loro la mano con una procedura a dir poco anomala. Nel 2006, la Corte d’appello rigetta la decisione dei 3 magistrati e rinvia di nuovo il caso ad altri giudici. Il 20 agosto 2006, la difesa istruisce un nuovo processo d’appello. Nel 2008, tre giudici della Corte d’Appello di Atlanta confermano le pene per Gerardo Hernandez e per René Gonzalez, ma annullano quelle di Labanino, Guerrero e Fernando Gonzalez. E rinviano il caso dei tre alla Corte del distretto di Miami perché siano riprocessati. In quell’occasione, la Corte d’appello riconosce unanimemente l’inesistenza di prove in merito a presunte informazioni segrete per mettere in pericolo la sicurezza nazionale Usa. Nel 2009, la Corte suprema, su richiesta dell’amministrazione Obama, rifiuta di riaprire il caso.
Una spinosa vicenda politica e un caso di giustizia negata che evidenzia l’inesauribile accanimento del governo Usa contro la piccola isola, intestardita a mantenere intatta la propria revolución. L’elezione di Obama aveva inizialmente sollevato qualche speranza. Nessuna inversione di tendenza si è vista, però: Cuba figura sempre tra i paesi che «appoggiano il terrorismo», il bloqueo continua a strangolare l’economia dell’isola e a sanzionare i paesi che infrangono il diktat nordamericano. Tantomeno si è risolto il caso degli agenti detenuti, ai quali ormai non resta che l’indulto di Obama. Una richiesta che i numerosi comitati di sostegno, attivi in tutto il mondo hanno portato fino alla Casa Bianca con l’efficace campagna «Obama… Give me five» in cui una mano aperta gioca con l’espressione «batti il cinque» per esprimere un gesto d’amicizia e una speranza. In questi ultimi anni, il presidente Usa ha ricevuto milioni di cartoline. E adesso che incombono altri venti di guerra, i manifestanti che anche oggi chiederanno la liberazione dei Cinque, hanno buon gioco a ricordargli che Cuba esporta medici, non droni e «terrorismo».

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SAUL LANDAU

Morte di un grande pacifista

È morto negli Stati uniti Saul Landau, intellettuale e pacifista, difensore infaticabile della causa dei Cinque cubani detenuti. Scrittore, giornalista e documentarista, ha ricevuto numerosi premi per i suoi lavori su temi scomodi della politica internazionale. «Assassination on Embassy Row» (con John Dinges; Pantheon, 1980), parla dell’assassinio dell’allora direttore del Transnational Institute, Orlando Letelier, ucciso nell’ambito del patto criminale fra le dittature sudamericane, a guida Cia, denominato Operazione Condor. In altri suoi coraggiosi documentari ha mostrato la pericolosità delle reti anticastriste, attive a Miami. Il «manifesto» lo ha intervistato durante un suo viaggio in Italia, il 1 ottobre del 2011.


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