La scelta di salvare la stabilità. Per ora

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Anzi, il rischio di una nuova fase di difficoltà pare avvicinarsi, lo si capisce dal modo in cui Bersani — alcune sere fa — ha letto le carte a Enrico Letta: «Anche se il Pdl non dovesse rompere su Berlusconi, alla lunga comunque emergerà un problema di sostenibilità politica tra i due partiti», cioè un processo di logoramento nei rapporti di maggioranza, che secondo l’ex segretario del Pd si è già innescato e potrebbe arrivare alle estreme conseguenze sulla legge di Stabilità, «quando la tensione inevitabilmente sarà destinata da alzarsi».
In tal caso, l’orizzonte della legislatura non andrebbe oltre la primavera del prossimo anno, ma non è chiaro se si tratterebbe di una crisi dovuta a un occasionale incidente di percorso o l’esito di un piano già studiato a tavolino. Di sicuro nei conversari tra ministri, un rappresentante del Pdl ha allertato un collega del Pd con questo ragionamento: «Ma l’avete capito tu ed Enrico che Renzi sta mandando un messaggio al vostro partito? Lui in pratica dice che se si va al voto subito, si candida per Palazzo Chigi e lascia stare la segreteria». Se l’analisi avesse fondamento, buona parte della nomenklatura democratica sarebbe invogliata ad accettare l’offerta del sindaco di Firenze pur di mantenere la guida della «ditta».
Un progetto che andrebbe a impattare anche sugli equilibri del Pdl, il cui leader ieri — sfiduciato per la sentenza avversa sul lodo Mondadori — sbuffava davanti alla telecamera pronta per registrare l’ennesima versione del suo videomessaggio: «Mi chiedo che senso abbia farlo, con tutti i colpi che ricevo…». Nel testo, privo di attacchi al governo e carico di accuse alla magistratura di sinistra, il Cavaliere fa riferimento a un «Paese sprofondato in una crisi senza pari» e al quale «servono ricette liberali per ridare slancio alla nostra economia». È solo un modo per evocare le origini, tenendo a battesimo la rinascita di Forza Italia, o è un indizio a sostegno della tesi di Bersani, secondo cui il terreno di battaglia «non sarà la giustizia ma la legge di Stabilità»?
Non ci vorrà molto per capirlo, così come sarà presto evidente quale seguito vorrà dare Berlusconi all’idea di salvaguardare l’esecutivo dai contraccolpi sul voto di decadenza da senatore che lo riguarda: la strada più lineare sarebbe quella di dimettersi prima della pronuncia dell’Aula di Palazzo Madama, ed è un’opzione che non è stata ancora scartata. Per il resto non c’è dubbio che il Cavaliere terrà fede alla promessa contenuta nel videomessaggio, che non mollerà, «io non mollerò anche se pensano di eliminarmi dalla vita pubblica estromettendomi dal Parlamento», perché «è mia intenzione restituire un Paese civile e una democrazia piena e non dimezzata».
A Berlusconi resta da completare il quadro, dando una struttura a Forza Italia, un partito di lotta e di governo che in realtà non è in cima ai suoi pensieri ma che potrebbe intralciare le sue manovre di palazzo. Prova ne sia la tesi scissionista del sottosegretario Castiglione, ostile alla crisi, che ha scatenato l’ennesima rissa nel Pdl, offrendo ai falchi l’opportunità di attaccare il segretario e di rimarcare che non ci sarà bisogno di questa carica nella nuova dirigenza. Si capisce quindi il motivo per cui Berlusconi deve stabilizzare una forza che solo formalmente è divisa in due blocchi, mentre in realtà le mire di Verdini sono diverse da quelle della Santanchè, come pure iniziano a scorgersi delle differenze tra Alfano e Lupi.
L’ex premier, che aveva fondato il Pdl per rompere le catene della vecchia Forza Italia e ha rifondato Forza Italia per rompere le catene del vecchio Pdl, deve comporre un difficile mosaico. È vero che su due persone è pronto a mettere la mano sul fuoco, che di Alfano dice sinceramente di fidarsi, che parla di Verdini come di un fedelissimo. Ma ora che per effetto della sentenza Mediaset sarà costretto al passo indietro, gli toccherà fare delle scelte a partire dal ruolo di «Angelino»: vorrà richiamarlo al partito, come chiedono molte colombe, o vorrà che rimanga al Viminale, come sperano tanti falchi? Ecco il conflitto sull’eredità che dilania il Pdl, dove in troppi dimenticano che la «roba», cioè i voti, sono ancora di Berlusconi.
Francesco Verderami


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