La battaglia di Mosca

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Nel quartier generale dei nemici di Putin. Qui la Russia profonda sembra lontana, da dimenticare. Niente cetriolini in salamoia, il caffé al posto del the, proibita la vodka. Al massimo, in serata, un giro di birra d’Alsazia al pub “Jean Jacques” sul viale Gogolevskij. Sono giovanissimi, nuovi, e magari anche un po’ snob, questi agguerritissimi militanti che in pochi giorni hanno cambiato il volto di Mosca. Quindicimila, tutti rigorosamente volontari, decisi a convincere più gente possibile a votare domenica prossima per il loro candidato sindaco, Aleksej Navalnyj, 37 anni, occhi celesti e fisico da marine. Quello che, per il gruppo di potere, si è inventato l’infamante definizione di “Partito dei Ladri e dei Truffatori”. Quello che appena un mese fa è stato scarcerato a furor di popolo nel giro di una notte dopo una condanna a cinque anni di carcere in un processo sfacciatamente fasullo.
E che ora rischia di infliggere al candidato di Stato almeno l’impensabile umiliazione del ballottaggio.
Ma i ragazzi di Navalnyj dicono di poter addirittura vincere, e sembrano davvero crederci. Con energia e caparbietà post adolescenziale, li vedi a tutte le ore a tutti gli incroci del centro attorno a quei gazebo smontabili che loro chiamano “cubi”, davanti all’ingresso della Galleria Tretyakov, tra gli universitari della Collina dei Passeri, o tra gli amanti del jogging nei dintorni dello stadio Luzhniki, ex Lenin. In centro giocano in casa, loro piccolo borghesi non ancora tracciati in alcuna mappa sociologica della Russia che cambia. La gente fa a gara per incoraggiarli, per avere una copia del loro giornale elettorale “Navalnyj nostro sindaco”, per farsi regalare gli adesivi bianchi, il colore della protesta, che adesso campeggiano pure sui lunotti delle Porsche e delle Bentley lungo le strade della passeggiata elegante a ridosso del Cremlino.
E in periferia «è ancora più divertente », come confessa Masha che ha 18 anni e ne dimostra molti di più, e che si è sparata tutte le sue vacanze estive universitarie per «provare a cambiare qualcosa». Arrivano come alieni nei quartieri dormitorio, nei mercati popolari, tra gente che questo genere di cose le aveva viste solo nei servizi del telegiornale su certe elezioni americane. Vanno a bussare alla porte delle krusciovke, le case popolari sovietiche anni Sessanta, salgono per le scale con i loro zainetti e le loro scarpe da trekking.
E parlano. Di corruzione, di libertà, del caro vita, del traffico, di un mondo che dovrebbe andare all’incontrario. Ben istruiti dal loro capo sanno toccare i tasti giusti: sono vaghi sul difficile tema dei gay, accettano qualche sfogo contro gli immigrati clandestini, rispettano la Chiesa ortodossa e la sensibilità dei fedeli evitando di occuparsi delle Pussy Riot ancora in carcere da più di un anno.
L’accoglienza non è sempre delle più gentili, ma il metodo certamente funziona. I sondaggi, in Russia, non sono sempre molto attendibili ma i dati sono comunque impressionanti: dal 3 per cento a oltre il 22 in meno di venti giorni. Numeri che al Cremlino creano imbarazzi e dibattiti concitati nelle segrete stanze su come “chiudere la scomoda pratica dell’opposizione”.
Se non altro perché, anche i sondaggisti più vicini al potere, concordano che il candidato ufficiale Sergej Sobyanin, sindaco uscente, resterebbe inchiodato al di sotto del 50 per cento necessario per essere eletto al primo turno. Credibile, se si pensa che pure Putin in persona nella volubile e insofferente capitale russa è rimasto al 47 per cento alle presidenziali del 2012 che ha invece stravinto nel resto del Paese.
Degli altri candidati, a parte il comunista Melnikov congelato su percentuali fisse e rassegnato al terzo posto, non c’è più traccia visibile nelle previsioni elettorali. E quasi tutti sono in qualche modo su posizioni anti-governative. Cosa che fa sognare i militanti quando provano a immaginarsi un ballottaggio all’ultimo sangue. Ma non è così facile e Navalnyj lo sa bene. Il suo obiettivo reale è raccogliere più di un milione di voti da poter usare come una sorta di scudo davanti alla imminente ripresa delle ostilità poliziesche e giudiziarie contro di lui.
Allarmati dagli ultimi dati, i siloviki, la casta delle strutture di forza russe, hanno già cominciato a fargli sentire il loro fiato sul collo. Sospetti e accuse tra le più strampalate, vengono fuori ogni giorno per consentire ai giornali titoli del tipo: «Navalnyj estromesso dalle elezioni?». Gli hacker più bravi del mondo, che molti dicono siano al servizio diretto del Cremlino, si divertono a far impazzire di tanto in tanto i computer dei giovani volontari. La polizia lo controlla passo passo ad ogni apparizione in pubblico. Serve a poco la rete fatta solo sul passaparola per organizzare incontri con la gente nei posti più svariati di Mosca con solo poche ore di preavviso. Ovunque Navalnyj compaia per stringere mani, spiegare il suo programma, ascoltare le richieste degli elettori c’è sempre un gruppo di agenti in borghese che è riuscito a precederlo. E a volte la provocazione si fa più sottile. L’altro giorno lo hanno arrestato, ammanettato e portato in una caserma di polizia. Poi l’ufficiale di servizio si è scusato, ha balbettato di una qualche «incomprensione nell’ordine di servizio» e prima di rilasciarlo gli ha offerto delle mele della sua dacia a mo’ di indennizzo. Incidente chiuso ma segnale arrivato a destinazione. Il candidato ha subito scritto sul suo blog: «Per me hanno sempre le manette pronte».
Metodi brutali che ufficial-
mente non piacciono affatto al sindaco uscente Sobyanin. Nel giorno dell’arresto di Navalnyj fu bravissimo a fiutare gli umori della folla e a dichiarare in tv: «Vorrei che lo liberassero per batterlo lealmente alle urne». Perfino i ragazzi di Navalnyj ammettono che non è stato un cattivo sindaco. Probabilmente il migliore dai tempi del sindaco della perestrojka, Gavriil Popov. Ha migliorato, per quello che si poteva, il disastro del traffico stradale. Ha rassettato l’aspetto estetico del centro e delle periferie. Ha lanciato, grazie ai soldi del Cremlino, una campagna di restauri e riparazioni in città che ha qualcosa di spettacolare e di frenetico e che colpisce molto l’opinione pubblica. 55 anni, aria e fisico da burocrate impacciato e scarsamente comunicativo, Sobyanin, non sta sfruttando però a dovere i vantaggi spudorati che tv e giornali gli concedono senza pudore riproducendolo in tutte le salse come una specie di eroe.
Il carisma di Navalnyj, di sua moglie Julia, bionda e bella come lui, e dell’esercito di giovani “occidentali ma non troppo” non è battibile, almeno a Mosca. Per questo Sobyanin ha rinunciato ai confronti televisivi. E perfino a quelli a distanza annullando ogni sua apparizione pubblica nel rush finale. E nella sua stanza del Municipio sulla centralissima via Tverskaja, comincia a lamentarsi che l’idea di mettergli Navalnyj contro sia stata una carognata dei suoi compagni di partito gelosi del suo ascendente presso Putin. I giornalisti russi che sono abituati a prevedere i risultati ufficiali elettorali non sugli umori della gente ma sulle scelte del governo, dicono già che a Sobyanin “sarà data” una vittoria di misura. Tanto per non dare spazio a Navalnyj ma giusto per smontare un po’ il sindaco troppo ambizioso.
L’idea che i brogli possano alla fine decidere il tutto, non è poi così peregrina. Anche al numero 22 di Lialik pereulok nel quartiere residenziale di Chistie Prudy, sede del “comitato Navalnyj”, tra una boutique di moda e un parrucchiere “aperto anche la domenica”, non si parla d’altro. La rete di osservatori e già pronta a denunciare on line qualunque irregolarità. E qualcuno studia già proteste di piazza contro i “soliti truffatori”.
«Ma in fondo non ha molta importanza — tranquillizza i più giovani Yulia Latynina, rara giornalista indipendente — quello che è successo in questa campagna elettorale sta cambiando tante cose. Nessuno aveva mai avuto tanto successo in così poco tempo. La battaglia di Mosca è importante ma quella che conta è la guerra di Russia».


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