Obama: con Teheran via diplomatica

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NEW YORK — Anche se gli ostacoli sono enormi e potrebbero rivelarsi insormontabili, gli Stati Uniti vogliono provare a cercare comunque una soluzione diplomatica tanto per l’arsenale chimico siriano quanto sui programmi nucleari dell’Iran, «ma le parole concilianti devono essere confermate da azioni trasparenti e verificabili». Per ora niente rappresaglie militari, ma nemmeno una rinuncia all’uso della forza, anche perché solo la credibile minaccia di farvi ricorso ha spinto la comunità internazionale a uscire dallo stallo.
Nella sede delle Nazioni Unite messa a soqquadro dai lavori in corso, in una sala dell’assemblea generale di fortuna, molto più piccola dell’originale, Barack Obama ha pronunciato in un silenzio glaciale — nessun mormorio di dissenso ma neanche nessun applauso salvo quello finale, molto tiepido — uno dei discorsi di politica estera più difficili della sua presidenza. Parlando poche ore prima del neopresidente dell’Iran Hassan Rouhani, il leader americano ha aperto a Teheran, pur senza alimentare speranze eccessive: «Dopo oltre trent’anni d’incomunicabilità, non si può pensare di risolvere i problemi in una nottata. Dubbi e sospetti restano fortissimi, da tutte e due le parti».
Cautela anche da parte di Rouhani che, poche ore dopo dal podio dell’Onu, ha detto che l’Iran è pronto a un negoziato immediato sul suo programma nucleare (primo confronto già domani tra il Segretario di Stato John Kerry e il ministro degli Esteri di Teheran, Zarif, insieme agli altri Paesi «sorveglianti», Gran Bretagna, Francia, Russia e Cina) e ha voluto «dichiarare solennemente davanti al mondo» che il suo Paese non cercherà mai di dotarsi di armi atomiche: «È contro la nostra dottrina di difesa e contraddice le nostre convinzioni religiose». Nel suo intervento — definito « cinico e pieno di ipocrisia» dal premier israeliano Netanyahu — Rouhani ha presentato l’Iran come un possibile fattore di responsabilità e stabilità («siamo moderati, rifiutiamo l’estremismo») in un Medio Oriente sempre più instabile e ha detto di aver letto con attenzione il discorso di Obama, arrivando alla conclusione che ci sono i margini per arrivare a soluzioni nelle quali le differenze tra Usa e Iran «possono essere gestite». Il leader di Teheran ha però anche chiesto a quello americano di rinunciare alla minaccia dell’uso della forza, di non farsi condizionare dalle lobby che spingono in questa direzione, di smettere di usare i droni. E ha denunciato le sanzioni imposte dall’Onu all’Iran come disumane e nocive anche per chi le ha decretate.
Niente stretta di mano, comunque, tra i due presidenti. Obama si era reso disponibile per un breve incontro, ma Rouhani ha preferito evitare probabilmente temendo contraccolpi negativi a Teheran dove gli Usa sono sempre visti come un temibile nemico. Oltre a parlare di Iran, in mattinata Obama si era soffermato sulla Siria sollecitando una risoluzione molto forte del Consiglio di sicurezza, che stabilisca conseguenze materiali pesanti per Assad se il regime non terrà fede agli impegni presi nel negoziato.
Accusato di aver proceduto per settimane a zig zag sulla Siria, il presidente Usa ha dovuto difendere la politica estera della Casa Bianca e anche i suoi tentativi di trovare un equilibrio accettabile tra tutela della «privacy» dei cittadini e attività di spionaggio condotte soprattutto con obiettivi di sorveglianza antiterrorismo: un tentativo di parare i colpi della presidentessa brasiliana Dilma Rousseff che, parlando dal podio dell’Onu subito prima di lui, ha accusato con un linguaggio insolitamente brutale gli Stati Uniti («hanno violato diritti umani e leggi internazionali») di aver messo il naso ovunque nel suo Paese, anche nella posta del capo dello Stato.
Ma, soprattutto, Obama ha voluto aggiornare la sua dottrina sull’uso della forza in un mondo nel quale «l’Onu, nato per evitare i conflitti tra nazioni, oggi fronteggia soprattutto guerre civili e tiranni che massacrano i loro stessi cittadini». «La comunità internazionale può restare a guardare inerte?» ha chiesto Obama. Che ha rivendicato il diritto, in circostanze estreme, di usare la forza anche senza autorizzazione Onu: non un nuovo unilateralismo ma un modo di scuotere la comunità internazionale e spingerla ad agire. Tocca agli Usa in virtù del loro «eccezionalismo» — la capacità di agire nell’interesse di tutti — che Obama rilancia in polemica con Putin.
Massimo Gaggi


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