Se i Governi si piegano alla dittatura dell’opinione pubblica

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Con lo stesso presupposto ma applicato, stavolta, alla questione della pace e della guerra fra le nazioni: essere eletto non basta; né basta disporre di poteri chiaramente definiti da una Costituzione; e nemmeno basta poter contare, in Parlamento, sul sostegno di rappresentanti che possono, se lo vogliono, censurarti; occorre ancora, prima di agire, cioè prima di decidere sulla politica internazionale del proprio Paese e prima di colpire, nella circostanza attuale, un regime fuori legge che fa uso di armi bandite da un secolo, ottenere il consenso dell’opinione pubblica.
Come definire l’opinione pubblica? Qual è l’affidabilità degli strumenti che consentono di misurarla? Qual è, soprattutto, la legittimità di un potere senza volto, inafferrabile, irresponsabile, di cui già Tocqueville si lamentava, ritenendo che veniva messo al di sopra di tutti gli altri ed esercitava una dittatura incontrollabile quanto illimitata?
Nessuno sembra porsi la domanda. Nessuno sembra stupirsi né, ancora meno, preoccuparsi del fatto che al verdetto di una opinione pubblica di cui bisognerebbe assicurarsi l’appoggio ininterrotto sono sospese: a) la sorte di un popolo (almeno centomila siriani assassinati da un regime che tutti i giorni contravviene alle regole più elementari della legge internazionale); b) la credibilità delle democrazie (definire una linea rossa e, quando viene superata, non essere più capaci di mantenere la parola e di reagire!); c) la sorte della pace mondiale (quale esempio, quale messaggio, per l’Iran, la Corea del Nord, Al Qaeda, se la montagna partorisse un topolino e se, dopo tanta tracotanza, alla fine non facessimo niente!).
E’ sbalorditivo che negli Stati Uniti come in Francia, i commentatori, i mass media e persino i responsabili politici ritengano implicito che il primo dovere di Hollande o di Obama, quasi la loro prima lotta, sia di prendere contatto con gli istituti di sondaggio Ifop e Gallup e non con Bashar Assad. E poiché un video cancella l’altro, un’emozione caccia via quella che aveva sommerso la precedente, un elemento di linguaggio appropriato contrasta voci non verificate, è scandaloso constatare che il loro primo compito divenga quello di scandagliare l’opinione pubblica, di entrare nei suoi ragionamenti o, meglio, nei suoi vaneggiamenti e, come gli aruspici dell’era predemocratica che scrutavano i visceri fumanti degli animali sacrificati per leggervi i presagi dell’avvenire, di chiedersi, ogni sera e ogni mattino: l’ho manipolata bene?
Di fronte all’abbassamento senza precedenti del politico umiliato da quello che gli antichi greci chiamavano la doxa che, nell’era del buzz marketing e di Twitter , diventa ancora più confusa, più oscura, più incoerente di quanto non sia mai stata; di fronte all’improvvisa accelerazione di quella che menti benevole hanno battezzato «contro-democrazia», consistente in una incessante persecuzione degli eletti e, innanzitutto, del primo di loro da parte di un corpo politico senza organi, sottoposto a tutte le passioni, pressioni e influenze e che non ha più niente a che vedere con il corpo elettorale del diritto politico, mi si consentirà di rievocare alcuni eventi che ciascuno ricorda anche se tutti, manifestamente, fingono di averli dimenticati.
François Mitterrand non si preoccupò dell’«opinione pubblica» quando prese la decisione storica di abolire la pena di morte. Charles de Gaulle non cominciò col sondare, rabbonire, sedurre l’«opinione pubblica» quando, eletto su un programma che prevedeva la continuazione della guerra in Algeria, decise di fare il contrario. Non reclutò «comunicatori» prima di scegliere, da solo, in virtù dei poteri che la Costituzione gli conferiva, di procedere al profondo sconvolgimento che l’uscita della Francia dalla Nato avrebbe provocato nel gioco di alleanze del Paese e, dunque, del suo sistema di sicurezza. Non mi risulta che fra i suoi successori, fra coloro che dovettero decidere di bloccare la carneficina in Bosnia e in Libia, o di intervenire nel Kuwait e nel Kosovo, o di formare un esercito afghano capace di resistere a Al Qaeda e ai talebani, ci sia stato un Presidente che, dovendo prendere la decisione, solitaria, segreta per natura e per definizione, di impegnare la forza militare, sia stato a tal punto incalzato da lasciarsi intimidire, se non fermare, da sondaggi sfavorevoli.
Governare è anche non piacere. Governare è, forti del mandato affidato da un popolo, resistere, se necessario, all’antipopolo che è l’opinione pubblica. C’è da rabbrividire all’idea di un meccanismo che, andando fino in fondo alla sua logica, obbligasse gli strateghi a sottomettere il piano dei loro bombardamenti, il loro calendario, il loro dosaggio, al consenso di chi fa chiacchiere da bar.
François Hollande è stato eletto per cinque anni e Barack Obama per quattro. Ci sarà il momento in cui dovranno render conto del loro operato al Paese e davanti alla Storia. Ma per ora hanno un solo dovere: dispiegare i mezzi che, secondo coscienza, a loro sembrano necessari per fermare il caos che deriverebbe dalla impunità di Bashar al-Assad sostenuto — troppo spesso si dimentica di precisarlo — dall’Iran degli ayatollah, dai Fratelli musulmani di Hamas, dall’Hezbollah terrorista, insomma da tutto quello che il pianeta annovera di islamisti veramente radicali.
Davanti a questo, i demagoghi e i sostenitori della politica spettacolo hanno un solo diritto: rispettare la Costituzione, la legge e i princìpi repubblicani.
(traduzione di Daniela Maggioni )


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