La rabbia di Silvio “Angelino la pagherà”

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 A mezzanotte Berlusconi convoca in extremis Alfano, che però non recede. I ministri restano compatti. Il vicepremier lascia Palazzo Grazioli mezz’ora dopo. Il capo invece vacilla, resta con Verdini e Ghedini, è assalito dai dubbi nella notte, è tentato dalla retromarcia, teme di finire ai margini. Ma alla fine le posizioni restano immutate, i falchi insistono: bisogna votare la sfiducia nonostante la fronda dei ministri. I due si rivedranno stamattina presto, ma siamo alla deflagrazione finale. Va in frantumi il Pdl. Da oggi sarà un’altra cosa. E Marina Berlusconi scalda già i motori di Forza Italia con la benedizione
del padre.
IL CAVALIERE ALLA SFIDA FINALE
«Pensano solo a spaccarci e a farmi arrestare: con questi signori non voglio avere più a che fare e i nostri che li voteranno saranno dei traditori». Alle 21, a Palazzo Grazioli il Cavaliere tira le conclusioni del vertice di «guerra» più
drammatico dell’era berlusconiana. Attorno a lui, solo i fedelissimi, i coordinatori, i capigruppo, Gelmini, Bonaiuti, Galan, Gasparri, Nitto Palma, Ghedini, Fitto e il solo ministro De Girolamo. Brunetta e Schifani provano a convincere il capo a compiere un’ultima retromarcia «per il bene del Paese». Tentativo fallito. Gli altri quattro ministri, guidati da Alfano, sono già reinsediati a Palazzo Chigi, dimissioni respinte dal pre-
mier Letta. Sono già altra cosa, altra storia, altro partito. Si presenterà a Palazzo Madama di prima mattina, il leader: «Li voglio vedere in faccia uno per uno, i traditori, voglio vedere se avranno il coraggio di votarmi contro» tuona. Si sente abbandonato, soprattutto dal capo dello Stato, col quale ormai ogni canale di comunicazione è interrotto, dopo l’incidente della telefonata trasmessa da Piazza Pulita: «Mi vuole politicamente morto e ci sta raggiunge».
LA CONTA
Si chiamerà forse Pdl-Ppe, il nuovo gruppo che nascerà. Quel che conta nelle prossime ore è il pallottoliere. Quanti seguiranno la fronda del segretario. «Non sono più di dieci, credimi presidente » ha rassicurato ancora una volta Denis Verdini nel vertice serale, quello dello strappo. Un bluff, secondo lui e la Santanché. Berlusconi, raccontano, in realtà molti dubbi li coltiva. Ma sa di non avere più chance. Di non potere più tornare indietro, dopo che per una giornata tutti gli approcci e i tentativi di mediazione per rientrare e votare la fiducia — avanzati a più riprese al premier Letta tramite lo zio Gianni — sono falliti: rimpasto per lasciare a Carfagna e Gelmini il posto di Lorenzin e De Girolamo, un decreto per stoppare l’aumento dell’Iva, il
rinvio a fine ottobre del voto finale sulla decadenza di Berlusconi in aula al Senato. Proposte irricevibili, come le hanno bollate Letta e Franceschini. Non ci sono più margini di manovra, di trattativa. E il discorso di fuoco del premier Letta lo sancirà stamattina, «invotabile» per il leader Pdl. Il Cavaliere è spalle al muro, non ha alternative: vota la sfiducia. Ma quanti lo seguiranno? «Siamo più di quaranta, sufficienti a formare il gruppo» fa di conto nel pomeriggio il dissidente Carlo Giovanardi. A sentire loro è un fiume carsico che oggi si farà piena. «Chiaro che non possiamo che stare dalla parte del segretario» annuncia il sottosegretario (non dimissionario) Giuseppe Castiglione, fondamentale colonna siciliana del partito. Almeno tre senatori con lui. «Dunque Berlusconi si rassegna e fare la minoranza del Pdl?» chiede quasi ironico il senatore di lungo corso Paolo Naccarato. Ottimisti, forse. Il capogruppo Schifani fino a sera stava col capo. E con lui si schierano i senatori lombardi guidati da Mantovani (ma Paolo Romani non va al vertice serale con Berlusconi). E quelli veneti di Galan. A ora di pranzo a Palazzo Madama si va al corpo a corpo.
LA TRATTATIVA
Gianni Letta raggiunge il premier a Palazzo Chigi a ora di pranzo. C’è anche Alfano. Si discute di una «onorevole via d’uscita» per far rientrare Berlusconi che si sarebbe reso conto dei rischi dello strappo compiuto. L’ipotesi avanzata è di non votare la fiducia oggi. Far finta che nulla sia successo. Dichiarazioni in aula ma nessuna mozione da sottoporre al voto dell’aula. Tornerà con le pive nel sacco. A Palazzo Grazioli a quel punto, è ora di pranzo, in un susseguirsi frenetico di vertici, capiscono per la prima volta che le strade sono sbarrate. «Non vogliono fare prigionieri, ci vogliono morti» per dirla alla Verdini. Nonostante tutto, fino al primo pomeriggio, Berlusconi resta convinto che sia tutto un bluff, che i ministri «traditori» non abbiano i numeri. E così spedisce alle 15 al mensile “Tempi” una lettera di fuoco contro Letta e Napolitano. E i giudici, ovvio. Confermando l’apertura della crisi, come farà oggi con un’intervista a Panorama.
IL PARRICIDIO
È a quel punto, a inizio pomeriggio, che Angelino Alfano, riunito coi ministri, decide di alzare il tiro come mai aveva fatto prima. «Rimango fermamente convinto che tutto il nostro partito domani debba votare la fiducia a Letta. Non ci sono gruppi e gruppetti» scrive in una nota. È l’ultimatum che non ti aspetti, la vendetta del delfino che riconquista il “quid”. Conseguenza del vertice notturno a Palazzo Grazioli e degli altri incontri in mattinata con Berlusconi consumati con toni drammatici, vana l’ultima offerta del capo, il coordinamento di Forza Italia. «Presidente, noi andremo fino in fondo, voteremo la fiducia e saremo la maggioranza, è un errore non farlo, ci auguriamo che anche tu dia questa indicazione » osa alla fine Alfano. «Ti stai comportando da traditore, mi stai voltando le spalle, ma farete la fine di Casini e Fini» avrebbe attaccato il Cavaliere. A ora di cena, i fedelissimi riuniti dal capo e i ministri a Palazzo Chigi sono la visione plastica dell’avvio della scissione. Un sondaggio di Pagnoncelli in serata a Ballarò accredita i moderati di Alfano di un 10-15 per cento. Le sottosegretarie Biancofiore e Vicari, berlusconiane, si dimettono, ma saranno le uniche a farlo.
LA SUCCESSIONE E IL RITORNO DI MARINA
Raccontano che Berlusconi sia stremato ma non domo, nella notte per lui decisiva. Indignata», si sarebbe detta da Milano Marina, per il trattamento riservato al padre «dai traditori» (li ha definiti così anche lei). E sulla scia di quell’indignazione avrebbe rotto gli indugi, con la benedizione del Cavaliere. «Spero la notizia sia vera», commenta una fedelissima e amica di famiglia come la Biancofiore. Berlusconi, padre nobile, ormai fuori dal Parlamento, a Marina lo scettro ereditario e la guida di Forza Italia.


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